Altra tappa, una delle principali della querelle fra i più votati nella lista di Forza Italia della Circoscrizione centro alle regionali dello scorso inizio ottobre. Il riferimento è alla formalizzazione di quanto ritenuto dal primo degli esclusi - diciamo così - Antonello Talerico, che aveva subito ravvisato la presunta ineleggibilità di Valeria Fedele, candidata che lo aveva preceduto con oltre 1.200 voti di scarto.

Talerico, oltretutto, nell’occasione aveva anche sollevato il dubbio di problemi analoghi per il primatista Michele Comito, dando incarico a un pool di colleghi esperti della materia di studiare il caso. Disamina che li ha portati a determinarsi - dopo un parere reso al loro assistito da noi riportato molte settimane fa, di fatto interamente recepito in questo atto ufficiale - per la presentazione del ricorso contro la Fedele.

Il gruppo di professionisti in questione è formato dalla professoressa Luisa Torchia, avvocato del Foro di Roma e dalle toghe catanzaresi Anselmo Torchia e Jole Le Pera, tutti e tre come ovvio convintisi di poter ottenere la declaratoria di ineleggibilità della Fedele al fine di arrivare alla successiva decadenza dalla carica con la conseguente surroga del primo dei non eletti della lista di Fi: Talerico, appunto.

La premessa è semplice in base a quanto si legge nell’articolato testo, di cui vi forniamo qualche stralcio:«La consigliera Fedele è (ed era) direttore generale della Provincia di Catanzaro, in forza di un incarico conferitole nel 2019 con contratto individuale a tempo determinato e tale ruolo ricoperto integra un’ipotesi di ineleggibilità ai sensi della legge 154 del 1981».

Un presupposto essenziale in virtù di cui sono esposti i motivi del ricorso con un ricco quadro normativo incentrato sull’appena citata legge per cui peraltro qualora “le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati” scatta una delle cause di ineleggibilità prevista quale “impossibilità giuridica ab origine di divenire soggetti passivi del rapporto elettorale per garantire la libertà di voto e la parità di accesso alle cariche elettive”. E non a caso le sue cause sono infatti stabilite per prevenire il rischio che attraverso l’esercizio di taluni ruoli e funzioni venga esercitata un’indebita influenza sugli elettori. Che non possono essere in alcun modo condizionati.

Senza dimenticare i richiami a quanto normato a riguardo dal decreto legislativo 165 del 2001 che disciplina il rapporto di pubblico impiego, la cosiddetta Legge Delrio e l’Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni del 2014 contenente disposizioni sul riordino delle Province.

È indubbio, secondo i ricorrenti, che il dg come organo di “direzione amministrativa adotti atti e svolga ruoli di gestione finanziaria e tecnica per il perseguimento degli obiettivi e la realizzazione dei programmi definiti dagli organi di direzione politica dell’ente mediante poteri di spesa e organizzazione di risorse umane, strumentali e di controllo, da esercitarsi in base ai regolamenti”. Alla luce di tutto ciò, sempre ad avviso dei ricorrenti, è palese la violazione della norma per omessa aspettativa e/o dimissioni ovvero mancata cessazione dalle funzioni nei termini imposti. Nella fattispecie alla vigilia della presentazione delle liste.