Il Grande ospedale Metropolitano è in affanno, le dosi del siero anti Covid statunitense sono finite prima del previsto e c'è una grave carenza di personale sanitario da colmare
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Dosi terminate anzitempo, carenza di personale e struttura in affanno. Sono queste le criticità che hanno portato il Gom a dover bloccare la somministrazione delle prime dosi di Pfizer già da due giorni e nonostante le prenotazioni già effettuate. Ma tutti questi disagi e i ritardi sulla distribuzione, evidenti e che si scontrano con le rassicurazioni del generale Figliuolo, ricadono inevitabilmente sui pazienti che rappresentano le categorie più fragili. Malati, accompagnatori, caregiver e disabili, sono ancora tutti in attesa di essere messi in sicurezza. E mentre il sistema di prenotazione online è già in tilt, con pochi centri caricati, prenotazioni a fine maggio e anziani e disabili “spediti” in centri vaccinali a chilometri di distanza, il Gom è costretto a mandarli indietro in attesa e a data da destinarsi, in attesa dell’arrivo delle nuove dosi promesse dal generale Figliuolo nella sua visita che a Reggio Calabria è finita in passerella.
La denuncia
E a vivere sulla sua pelle tutta questa disorganizzazione è stata Sabina Berretta, paziente oncologica e mamma di Sasha una ragazza disabile. Dopo una lunga attesa Sabina gioisce per aver ricevuto la telefonata tanto attesa dal Gom che la prenota per il 26 marzo per ricevere la sua dose di Pfizer. «Finalmente – esclama Sabina sui social – è arrivato il mio turno. Buona vita a me». Parole di giubilo che nell’arco di poche ore si infrangono contro il muro di un sistema che distrugge speranze e illusioni.
«Mi sentivo una privilegiata…non avevo fatto i conti con la realtà calabrese e soprattutto non avevo fatto i conti con la poca considerazione che hanno verso il pubblico coloro che dietro una scrivania o anche dentro un camice bianco si trovano a dover erogare dei servizi.
Una caregiver non si può permettere il lusso di essere padrona del proprio tempo. Deve organizzarsi e nel momento in cui manca da casa deve tribolare per trovare una persona che possa assistere il proprio figlio non autosufficiente. Mi convocano dal reparto di oncologia e mi fissano un appuntamento per il giorno dopo. Faccio l’impossibile per essere puntuale perché, nonostante l’ansia, sono fermamente convinta che il vaccino con questa pandemia è l’unica arma che mi può garantire di non finire intubata in un reparto Covid».
«Arrivo in ospedale in anticipo – continua - e nell’atrio trovo una trentina di persone in attesa di essere vaccinati. Sul pianerottolo, dietro un banchetto con sopra dei moduli per il consenso, una signora che “dirige il traffico”. Mi faccio avanti e dico: "Signora sono stata convocata dal reparto di oncologia per fare il vaccino”. Mi guarda e con indifferenza mi dice: “Torni domani, il vaccino è finito”. Apriti cielo, tutta la tensione di due giorni l’ho scaricata lì. La signora a mo’ di sfida e incurante del fatto che lì presenti ci fossero altre trenta persone che aspettavano di fare AstraZeneca mi dice: “il Pfizer è finito, lei non può fare l’AstraZeneca, vuole l’AstraZeneca? Glielo faccio fare”». «
Era come se mi dicesse “vuole morire? Bene si faccia l’AstraZeneca”. Non oso pensare lo stato d’animo di chi da lì a poco avrebbe dovuto vaccinarsi con l’AstraZeneca. Torno a casa con un mal di testa feroce e con la consapevolezza che quello che ritenevo essere un privilegio non era altro che un mio diritto…l’ennesimo diritto negato».