«Sono il capo di San Cristofaro»: sequestrato e minacciato di morte per estorcergli denaro

VIDEO-NOMI | Eseguite anche diverse perquisizioni domiciliari. L’operazione denominata “Take Away” condotta dalla Polizia e coordinata dalla Dda

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di Redazione
13 febbraio 2019
07:13

Un sequestro di persona messo in atto allo scopo di costringere la vittima a pagare il "pizzo". É quanto é emerso dall'indagine condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, con il coordinamento della Dda diretta dal Procuratore della Repubblica, Giovanni Bombardieri, che ha portato stamattina all'esecuzione di sette ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettante persone accusate di sequestro di persona e tentata estorsione, aggravati dalle modalità mafiose. Si tratta di Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni, Carmelo Bruno Scaramuzzino, Giuseppe Surace, Pietro Surace, Bruno Surace e Domenico Natale Surace.

 


I fatti, accaduti a Reggio Calabria, risalgono al 30 dicembre scorso. Vittima del sequestro é stato l'esercente di una pizzeria, sequestrato poco dopo che era uscito dal suo locale insieme alla convivente. L'uomo, che era alla guida della propria auto, sotto la minaccia delle armi, é stato prelevato con la forza, caricato su un'altra vettura e tenuto in ostaggio per alcune ore. L'uomo é stato rilasciato con la condizione che avrebbe provveduto a sborsare in tempi ristretti una  somma di denaro.

 

Le attività investigative - effettuate mediante l’audizione di testimoni e con l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, analisi dei tabulati dei traffici telefonici delle utenze di interesse investigativo e delle immagini estrapolate dai sistemi di video sorveglianza presenti nelle aree circostanti al luogo del delitto - consentivano di ricostruire l’esatta dinamica del sequestro di persona e di comprendere come esso fosse finalizzato al compimento di un diverso ed autonomo delitto di estorsione consistente nella richiesta di una somma di denaro (500 euro) quale parte residua pretesa, ma non dovuta, da uno dei sette soggetti (Surace Giuseppe) che aveva lavorato come pizzaiolo alle dipendenze della donna che aveva denunciato il sequestro di persona del convivente.

 

Giunto alla pizzeria assieme alla compagna e ai figli minori della donna la sera dello scorso dicembre, l’uomo veniva affrontato da Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni e  Bruno Scaramuzzino che, afferrandolo per le braccia, lo costringevano a salire sull’autovettura di Belfiore con la quale si dileguavano.

 

Durante il tragitto, la vittima - a cui venivano rivolte minacce di morte - veniva condotta a Pellaro, contro la propria volontà, nell’abitazione di  Giuseppe Surace, Pietro, Bruno e Domenico Natale dove veniva avanzata una richiesta estorsiva di 500 euro per dirimere una controversia legata alla posizione lavorativa di Giuseppe Surace.  Quest’ultimo, come detto, aveva lavorato presso la pizzeria della compagna della vittima per circa un mese, tra agosto e settembre del 2018. L’accordo tra le parti prevedeva, come corrispettivo del lavoro svolto, il pagamento di 800 euro. Il datore di lavoro gli aveva già corrisposto 750 euro, sicché la somma residua dovuta era di 50 euro e non 500 che costituiva, invece, una richiesta di natura chiaramente estorsiva.

 

Dal momento che l’uomo vittima di sequestro di persona e della pretesa estorsiva aveva dimenticato il portafogli in macchina, quando era stato prelevato con la forza, i sequestratori  lo riconducevano  alla pizzeria per prendere il portafogli. L’azione estorsiva non veniva tuttavia portata a compimento per cause indipendenti dalla volontà degli estorsori ed in particolare perché nell’esercizio commerciale erano nel frattempo confluiti gli equipaggi delle Volanti e della Squadra Mobile allertati dalla compagna del soggetto sequestrato.

 

Agli indagati è stata contestata l’aggravante delle modalità mafiose, consistite nell’avere (Francesco Belfiore) rivolto alla vittima la minaccia di sparargli in testa e nell’essersi qualificato come “capo di San Cristoforo, da intendersi quale referente delle cosche di ‘ndrangheta che esercitano l’influenza su quella parte della città di Reggio Calabria, in ragione della sua parentela con un soggetto (che è suo cugino) gravato da precedenti di polizia per associazione di stampo mafioso, in quanto ritenuto legato ad una potente cosca di ‘ndrangheta operante in questo centro (Libri).

 

Le indagini che ne sono scaturite hanno consentito di ricostruire in breve tempo il quadro completo delle responsabilità relative al sequestro, con l'emissione delle sette ordinanze di custodia cautelare in carcere da parte del Gip di Reggio Calabria su richiesta della Procura della Repubblica. 

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