Su quasi 37 milioni di euro di esborso complessivo nel 2020 a titolo di indennizzo per ingiusta detenzione, a favore di persone che hanno subito una restrizione illegittima della loro libertà personale in fase di indagine, quasi 8 milioni sono stati oggetto delle 90 ordinanze emesse dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, distretto che comprende circondari dei Tribunali ordinari di Locri, Palmi e appunto Reggio. Il dato emerge dalla relazione al Parlamento del Dipartimento per gli Affari e la Giustizia del Ministero.

Record nazionale

La cifra è la più alta registrata del 2020 nel panorama nazionale, seguita da quella disposta da Catanzaro, però con meno ordinanze di importo medio inferiore, da Palermo, Bari e Napoli, distretti giudiziari a densità abitativa nettamente superiore al distretto di Reggio.

Al netto della corte di appello di Catania che aveva ordinato un esborso di oltre tre milioni e mezzo di euro, il dato della relazione del 2020 ripropone lo stesso andamento del 2019, con un esborso complessivo di oltre 43 milioni di euro, di cui quasi 10 milioni pagati su ordinanza della corte di appello di Reggio Calabria.
Ma non si tratta unicamente di importi e di cifre, che per altro sono quantificati solo come indennizzi e non come risarcimenti.

«Il dato numerico, necessario per un'analisi della spesa pubblica, è certamente rilevante ma la sua importanza economica non è l'unica da valutare in questa relazione. Per quanto colpiscano gli importi complessivi e medi rispetto al totale, dietro i numeri ci sono persone che hanno subito una carcerazione illegittima, dunque vi sono drammi familiari e sociali e storie di ingiustizia», ha spiegato Pasquale Foti, presidente della Camera Penale Gaetano Sardiello di Reggio Calabria.

A Reggio in media un anno di ingiusta detenzione

«Anche la stessa media per ordinanza di 87mila euro non è un importo esagerato come può apparire se pensiamo che si tratta di un mero calcolo aritmetico, che sottende a circa un anno di ingiusta detenzione. Secondo un criterio aritmetico, ormai invalso nelle giurisprudenza, infatti la somma indennizzabile per ogni giorno di ingiusta detenzione è di circa 235 euro, risultato della divisione dell'importo massimo stabilito dalla legge (516.456,90 euro) per la durata massima della custodia cautelare in carcere che è di sei anni. Nonostante sia l'unico strumento previsto dal nostro ordinamento a tutela di chi ha subito questa indebita restrizione della propria libertà, di chi è coinvolto da un procedimento penale da innocente, esso è dunque solo frutto di un mero calcolo. Un calcolo che si attaglia all'istituto dell'indennizzo, del ristoro che dunque non è un risarcimento e che pertanto lascia fuori dalla sua quantificazione tutta una serie di aspetti invece fondamentali. Specie chi viene colpito da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere subisce un tracollo familiare, professionale e sociale, vive il dramma del sacrificio degli affetti, della perdita del lavoro, dell'emarginazione e dell'isolamento. Tutto ciò non viene valutato neppure in via equitativa», ha spiegato ancora l'avvocato Pasquale Foti.

Nel 2020 la media ad ordinanza di 87mila euro relativamente agli indennizzi accordati dalla corte di appello reggina, seconda solo a Palermo (oltre 95 mila euro a fronte di un totale di quasi quattro milioni e mezzo e della metà delle ordinanze) rivela anche una durata media di un anno di ingiusta detenzione nel circondario di Locri, Palmi e Reggio Calabria. Solo a Palermo la durata di questa restrizione illegittima è più lunga.

Su 1108 istanze di indennizzo, 200 presentate in Calabria

Al di là del dato numerico, che anche nel 2019 pone Reggio Calabria (120) dopo Napoli (129) per numero di ordinanze di pagamento emesse, va da sé che la densità di popolazione dei due distretti rivela in proporzione l’accentuazione del fenomeno nel distretto reggino. Il dato viene ancora più in evidenza al momento di analizzare il dettaglio delle istanze presentate nel solo 2020: a fronte delle 137 presentate a Roma, delle 143 a Napoli, con un distretto cui afferiscono sei comuni con una popolazione complessiva che supera il milione, spiccano le 101 presentate a Reggio Calabria con i suoi oltre duecentomila abitanti.

Il dato di interesse non è solo reggino ma anche calabrese poiché, seppure in misura minore, si distingue anche l’attività della corte di appello di Catanzaro che serve il resto della Calabria. Nel 2020, infatti, su 1108 istanze presentate in Italia, oltre 200 sono state avanzate soltanto in Calabria, 106 a Catanzaro e 101 appunto nel distretto di Reggio, dove resta di anno in anno alto il numero di persone che subiscono una ingiusta detenzione di una durata media di almeno un anno.

La Corte d'Appello di Reggio, prima per numero di istanze accolte

In questo quadro particolarmente utile ad un’analisi del fenomeno sono le percentuali di accoglimento, dunque di riconoscimento del diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione, tenendo conto del numero dei procedimenti portati in decisioni e conclusi. Reggio Calabria che ha smaltito anche un po' di arretrato, è in compagnia delle corti di Appello di Roma e Napoli. In questa ottica la percentuale del 40 % con 43 istanze accolte delle 107 lavorate nel 2020, spicca rispetto al 26 % della corte d'appello di Roma e al 24% di quella di Napoli. A Catanzaro la percentuale è stata del 55% ma a fronte di sole 58 istanze lavorate.
Pochi distretti hanno fatto pervenire i loro dati sul pregresso e tra questi con Reggio Calabria, soltanto la sezione staccata di Sassari, la corte di Appello di Genova. Anche se la corte d'appello di Reggio Calabria ha fatto lo scorso anno un balzo in avanti decidendo 107 istanze, delle 283 decise in tutta Italia, e accogliendo il numero di più alto a livello nazionale di domande di indennizzo (43), restano oltre trecento procedimenti ancora pendenti che certamente ripropongono il tema della carenza di personale e di un procedimento che ad oggi richiede circa un anno e mezzo due anni per essere concluso. Molti anche i rigetti e anche qui c’è un risvolto tutt’altro che secondario.

«Sono tante le persone che vengono sottoposte da innocenti alla privazione di un diritto costituzionale e soltanto un numero ristretto, per quanto superiore rispetto agli altri distretti, riceve un indennizzo. È bene, tuttavia, sottolineare come coloro ai quali la domanda viene rigettata non sono meno innocenti. Le decisioni di rigetto infatti, non essendo fondate sul merito ma su altri criteri, non mettono in discussione l'illegittimità della misura cautelare subita né tanto meno il proscioglimento o l'assoluzione successiva. Dunque da un punto di vista umano e sociale, l'ingiusta detenzione anche se non approda all'indennizzo, resta comunque tale come tali restano le storie e le vite segnate e fortemente condizionate di persone per le quali non c'è altra forma di tutela», ha sottolineato l'avvocato Pasquale Foti.

Misure cautelari ed equa riparazione

La limitazione delle libertà personale in fase di indagine avviene tramite l'applicazione, su disposizione della magistratura, delle misure cosiddette cautelari, provvisorie ma immediatamente esecutive, dirette ad evitare che l'accertamento del reato possa essere compromesso, ad arginare il pericolo di fuga e di commissione di altri reati. Esse sono fondate sui criteri tassativi di adeguatezza e proporzionalità. La più stringente è la custodia in carcere ma ve ne sono altre meno restrittive come per esempio gli arresti domiciliari (con o senza braccialetto), l'obbligo o il divieto di dimora, l'obbligo di firma, l'obbligo di presentazione davanti alla polizia giudiziaria.
Contrariamente all'errore giudiziario di cui è vittima una persona che ha scontato una pena ingiusta dopo una sentenza altrettanto ingiusta di condanna e per dimostrare il quale è necessario un nuovo processo (di revisione), l'ingiusta detenzione è subita prima dello svolgimento del processo e, quindi, prima della sentenza.
Essa incardina un diritto ad un indennizzo, sempre che l’istante non vi abbia dato causa o concorso a darvi causa, per dolo o colpa grave. In questi casi, infatti, l'eventuale esito di una domanda di ristoro sarebbe un rigetto.

Reati, misure cautelari e fasi del procedimento

La relazione al Parlamento del Dipartimento per gli Affari e la Giustizia del Ministero, infine, denota che tra le oltre 82 mila misure cautelari emesse in Italia la maggior parte consiste in ordinanze di custodia in carcere (quasi 25 mila) e in arresti domiciliari senza braccialetto (quasi 20 mila).
Di interesse anche l'analisi relativa alle fasi in costanza di detenzione poi giudicata ingiusta. Dei 43 provvedimenti di accoglimento, la corte di appello di Reggio Calabria è stata chiamata a giudicare istanze prevalentemente riferite a misure annullate in sede di Riesame (14) oppure a sentenze di proscioglimento emessa in primo grado dal Giudice per l'udienza preliminare (Gup), dal Tribunale o dalla Corte di Assise.

«Non ho una statistica precisa ma, data l'esperienza condivisa quotidianamente con i colleghi della Camera penale, penso di poter affermare che oltre il 50% delle istanze presentate riguardano ordinanze di custodia cautelare in carcere relative a contestazioni di natura mafiosa o affini. Si pensi che per contestazioni di associazione di stampo mafioso o condotte aggravate dalla modalità o finalità mafiosa, la durata minima della custodia cautelare in carcere in fase di indagine è di almeno un anno», ha evidenziato l'avvocato Pasquale Foti.

«Complici una diversa letture di determinati reati, il perseguimento di un certo giustizialismo, oggi assistiamo ad un decadimento valoriale del nostro momento storico in cui si pensa di combattere un fenomeno di tale gravità sempre e solo con la repressione, con l'inasprimento delle pene e con un ricorso costante alla detenzione preventiva in carcere, piuttosto che non misure alternative e strumenti sociali. La magistratura sottodimensionata certamente lavora in affanno ma ciò non può giustificare questo andamento. Sarebbe necessario responsabilizzare la magistratura, intervenendo ad esempio sui criteri di valutazione degli avanzamenti di carriera. Sbagliare è umano ma dovrebbe essere censurata la reiterazione dell'errore», ha concluso Pasquale Foti, presidente della Camera Penale Gaetano Sardiello di Reggio Calabria.

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