Nato a Messina, fino alla scorsa settimana in servizio a Trapani, prende il posto di Bruno Megale nominato questore di Milano
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Cambio al vertice della questura di Reggio Calabria, dove da oggi al posto di Bruno Megale, nominato questore di Milano, ci sarà Salvatore La Rosa, fino alla scorsa settimana in servizio a Trapani. «Sono assolutamente contento di essere qui e darò il massimo per cercare di essere più performante possibile, insieme alla struttura che mi onoro da oggi di guidare – le prime parole di La Rosa nel consueto incontro di presentazione con la stampa -. Credo che sia fondamentale la massima collaborazione con la cittadinanza, credo che questo sia, lo dico fermamente, un po' la chiave di volta per migliorare le nostre performance ma anche per offrire ai cittadini un servizio, perché noi facciamo servizio non facciamo non facciamo lavoro generico»
Originario di Messina, dove si è laureato in Giurisprudenza, La Rosa, di 62 anni, è entrato nella Polizia di Stato nel 1989, quando ha vinto il concorso di vice commissario. Da lì una lunga carriera che lo ha portato ad essere testimone diretto di diverse faide tra Calabria e Sicilia. «Sono realtà diverse ognuna delle quali ha delle caratteristiche specifiche. Nel periodo in cui io sono stato a Lamezia Terme c'è stata una guerra di mafia vera e propria tra i Torcasio e gli Iannazzo di Sambiase, ma ho fatto anche prima tanta attività con “cosa nostra” nell'ambito del siracusano, quando nei primi anni 90 si sparava per strada con una certa facilità. Quindi siamo discretamente ferrati per poter affrontare qualunque tipo di situazione. Ovviamente il lavoro che ho fatto nel corso del tempo mi rende sereno, ma soprattutto mi rende sereno sapere di avere a disposizione una struttura “smart” che trova risposte a tutto e le trova in maniera rapida».
Come si orienterà a Reggio Calabria, è presto detto: «Con la forza e della risposta che lo Stato ha dato nel corso del tempo. Le carcerazioni sono tante anche dure, anche importanti. Questo non significa che comunque ci si può cullare, anzi assolutamente bisogna essere attenti soprattutto perché le organizzazioni criminali hanno cambiato pelle. Non dobbiamo abbassare la guardia e faremo tutto il possibile, in uno con l'autorità giudiziaria, che chiaramente per quanto riguarda gli aspetti criminali coordina le indagini e le coordinate bene, per raggiungere ulteriore e importanti successi». Quindi se da una parte il nuovo questore ha sottolineato la forza di una struttura che funziona, e che da risposte, dall’altra si rivolge ai commercianti.
«Credo che la cosa più importante sia quella di collaborare, di venire in Questura, di andare dai Carabinieri, di andare in Procura, a raccontare anni di vessazioni perché non portano da nessuna parte, si fanno solo ed esclusivamente del male da soli. Se non collaborano in questo senso non fanno altro che mettersi poi nelle mani di usurai, di soggetti senza scrupoli, che non fanno altro che succhiare totalmente le attività che magari con tantissimi sforzi e dopo lunghi anni sono state messe a regime e poi vengono praticamente totalmente inghiottite dalla criminalità organizzata». Ma non basta, perché il neo questore lancia contemporaneamente un messaggio chiaro alla cittadinanza, invocando una rivoluzione culturale al momento non realizzata a queste latitudini.
«L’attività repressiva è assolutamente necessaria perché comunque ti dà l'opportunità di mettere in sicurezza alcune situazioni. Però io credo e penso, e questo lo dico al di là di ogni altra cosa, che l'attività repressiva da sola è perdente, non riesce a sbloccare queste situazioni. Noi abbiamo bisogno di una rivoluzione copernicana culturale in generale ma lo dico per tutto il sud non lo dico solo per Reggio Calabria. Ancora non c'è una mentalità complessiva della popolazione che si sganci da questa sudditanza psicologica nei confronti della criminalità organizzata. Questo si può ottenere solo ed esclusivamente se c'è veramente una rivoluzione copernicana nel pensare, quindi noi abbiamo la necessità di fare memoria di quanto è accaduto facendo testimonianza e dobbiamo cercare in qualche modo di fornire strumenti culturali per mettere nelle condizioni le giovani generazioni di comprendere di cosa stiamo parlando, perché fino a quando non abbiamo capito questo saremo perdenti».