Gli attentati contro i carabinieri compiuti in Calabria nel 1993 e nel 1994 dalla 'ndrangheta al centro della deposizione del collaboratore Consolato Villani al processo sulla trattativa Stato-mafia che si sta svolgendo all'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.


Collegato in videoconferenza, il pentito, ex braccio destro del boss Nino Lo Giudice, ha detto di aver partecipato a quelle spedizioni: "Gli agguati ai carabinieri furono il mio battesimo del fuoco. Il primo a dicembre '93. Avevo un fucile a canne mozze ma a sparare fu Giuseppe Calabrò con un mitra M12. I carabinieri rimasero illesi e lui mi disse che bisognava riprovarci".


L'attentato successivo fu nel gennaio 1994 sulla Salerno-Reggio Calabria. A bordo della gazzella vi erano gli appuntati Vincenzo Garofalo, 31 anni e Antonino Fava, 36.


I sicari affiancarono l'auto a pochi chilometri dallo svincolo di Scilla e fecero fuoco. "A sparare fu Calabrò - racconta ancora il pentito - questa volta per i carabinieri non ci fu niente da fare. Fui io a rivendicare l'azione con una telefonata. Dissi qualcosa tipo: questo è solo l'inizio. Me lo disse Calabrò e io eseguii gli ordini".


Dopo quel duplice omicidio, ancora una volta i carabinieri vengono colpiti. "Li aspettiamo sulla statale - aggiunge Villani - Appena sbucò una pattuglia aprimmo il fuoco tutt'e due. I carabinieri rimasero gravemente feriti. Quando poi ho chiesto spiegazioni Calabrò mi disse che stavamo facendo come la banda della Uno bianca: attaccavamo lo Stato". "Mi disse che si dovevano colpire i carabinieri. Penso che Calabrò fosse gestito da qualcun altro. Non decideva lui questa cose - prosegue - Dovevamo colpire lo stato. So anche che quei carabinieri trasportavano dei documenti importanti, 'un plico' mi disse Calabrò. Ma non so di cosa si trattasse". "Pensavamo di fare altri attentati - spiega - ma poi mio padre fu arrestato e ci siamo dovuti fermare, stare più coperti".

 

"Mi fu riferito che il tritolo per le stragi siciliane è partito dalla 'ndrangheta, poi non so se è effettivamente così" – dichiara ancora Villani.

 

Il pentito calabrese ricorda l'esistenza di una nave affondata nei mari calabresi che avrebbe trasportato dell'esplosivo, poi rubato dalle organizzazioni criminali della zona. "Nino Lo Giudice - ha spiegato - mi parlò di un uomo e una donna dei servizi deviati, erano l'anello di congiunzione su traffici e interessi per l'approvvigionamento di esplosivo e armamenti tra le mafie".