Sedici anni di condanna, tanti quanti richiesti dalla pubblica accusa. Otto ore di camera di consiglio sono bastate ai giudici per affermare che il 18 novembre del 1989, Isabella Internò abbia ucciso Donato Bergamini, il calciatore del Cosenza con cui la donna, allora ventenne, era fidanzata fin da quando era minorenne. Un omicidio mascherato da suicidio, riteneva la Procura di Castrovillari, che dietro ai fatti avvenuti al km 401 della Statale 106 jonica – Bergamini in fuga dal ritiro della squadra che si butta sotto le ruote di un camion in transito - intravedeva i segni della cospirazione e del delitto d’onore.

Nel pomeriggio Isabella internò aveva dichiarato: «Sono innocente, lo giuro davanti a Dio. Dio mi è testimone». L’ultima udienza del processo sulla morte di Denis Bergamini è stata scandita dalle dichiarazioni spontanee rese da Isabella Internò. Poi la Corte d’Assise di Cosenza, presieduta dal giudice Paola Lucente si è chiusa in camera di consiglio per deliberare. Alle 19 il collegio farà ritorno in aula per pronunciare la sentenza di primo grado.

Ad attendere il dispositivo anche Padre Fedele Bisceglia ed alcuni compagni di squadra dello sfortunato giovane, protagonisti negli anni Ottanta della promozione in Serie B ed anche dell’impresa sfiorata nella stagione successiva, con i silani esclusi solo dalla classifica avulsa dallo spareggio per il grande salto nel massimo campionato. Tra loro Francesco Marino, Gigi De Rosa, Luigi Simoni, Alberto Urban, Michele Padovano.
La presidente del collegio giudicante non ha autorizzato riprese video, rimanendo coerente alla decisione assunta all’inizio del dibattimento, di tenere le telecamere fuori dal Palazzo di Giustizia. Notevole lo spiegamento delle forze dell’ordine in attesa dell’ora X.

Isabella Internò era in aula per ascoltare la sentenza.