Da una parte le pesantissime richieste dell’accusa, che ieri ha invocato per Mimmo Lucano quasi otto anni di carcere, accusato di essere al vertice di un’associazione a delinquere che gestiva i progetti di accoglienza a Riace. Dall’altra un comitato spontaneo di cittadini e attivisti che in queste ore sui social si è apertamente schierato al fianco dell’ex sindaco, sposando le tesi della difesa e mettendo in risalto quelle che a loro avviso sono le contraddizioni dell’impianto accusatorio portato avanti dalla Procura di Locri.

«Sono tutte accuse senza uno straccio di prova – sostiene il portavoce del movimento Antonino Richichi - Tutte accuse che sono state smontate dal Gip, dalla Cassazione, dal Consiglio di Stato, dal tribunale del Riesame. La richiesta del pm non è solo assurda, non è solo priva di fondamento, ma è una roba inqualificabile. Il procuratore capo che dichiara che non è un processo politico, difatti, con la sua dichiarazione, non fa che attestarlo – tuonano - il fine persecutorio è sotto gli occhi di tutti».

Nel mirino del comitato spontaneo la testimonianza resa dal commerciante Francesco Ruga, sulla cui denuncia alla Guardia di Finanza si fonda parte della tesi accusatoria. Nel corso dell’udienza nel gennaio scorso, rispondendo alle domane del pubblico ministero Michele Permumian, Ruga spiegò in aula il sistema dei bonus. «Erano pezzi di carta che usavano i migranti come moneta di vario valore. Vendevo alimentari, ma se dovevo cambiarli mi chiesero di fatturare detersivi. Ho detto di no, perché a me quei soldi servivano e ho deciso di denunciare. La mia rabbia – rimarcò il teste davanti ai giudici - è solo contro Capone (presidente dell’associazione Città Futura anch'egli imputato, ndr) per le minacce ricevute. Con Lucano il rapporto era tranquillo». Una parziale ritrattazione rispetto alle primissime dichiarazioni del teste, per la Procura considerato credibile «e non negando il risentimento verso Lucano nei cui confronti dapprima nutriva ammirazione poi tramutatasi in delusione e rabbia nel momento in cui ha compreso che “dietro Capone vi era Lucano”».

«Il pm ha chiesto 7 anni e sei mesi partendo dalla dichiarazione di un teste screditato – commenta l’attivista Sasà Albanese - un'accusa che fa ridere tutti coloro che conoscono e hanno conosciuto Mimmo Lucano. Lui che minaccia qualcuno? Fa solo ridere pensarlo. I fatti dicono che il minacciato era lui. Io e molti altri che conosciamo Mimmo da quando eravamo ragazzi non abbiamo dubbi: ad avercene come lui in Calabria, in Italia e nel Mondo. Il mondo sarebbe un luogo più bello, più umano, più giusto. Il tempo ristabilirà la verità e verrà il giorno in cui molti dovranno vergognarsi».

E mentre il Ministero dell’Interno, tramite l’Avvocatura dello Stato, ha chiesto un risarcimento di 10 milioni di euro, gli avvocati dell’ex sindaco non condividono le argomentazioni della Procura locrese, e sono pronti a dare battaglia punto su punto nella loro discussione fissata il prossimo 14 settembre.