La sentenza è stata emessa dal Tribunale per i minorenni. I fatti risalgono al 2016 e sotto indagine erano finiti in quattro, per tre però non è stato possibile procedere perché minori di 14 anni
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Un anno e sei mesi di reclusione per uno dei bulli che cinque anni fa massacrò di botte un bambino di 9 anni nel cortile della scuola. È quanto deciso ieri dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. «Finalmente la verità è venuta a galla: hanno creduto a mio figlio», è il primo commento della mamma della vittima, Francesca.
Per quel pestaggio, perpetrato al culmine di svariati altri atti di bullismo, erano finiti sotto indagine in quattro. Per tre di loro era già stata emessa sentenza di non luogo a procedere, in quanto minori di 14 anni all’epoca dei fatti contestati.
A. Y., invece, nel 2016 di anni ne aveva quasi 15 e dunque si è potuto condannarlo per i reati di lesioni e percosse a una pena sospesa ma significativa, che i giudici hanno motivato «ritenuta la continuazione e la prevalenza delle aggravanti contestate sulla diminuente della minore età», dando credito alle tesi accusatorie del pm Angelo Gaglioti.
La vicenda è ricostruita in una nota dai legali della famiglia del bambino bullizzato. «Risale all’anno scolastico 2015-16, in cui il bimbo frequentava la terza elementare di un istituto comprensivo del Reggino ed era diventato il bersaglio di un gruppo di bulli, compagni di classe, coetanei ma anche ragazzi più grandi. La mamma vedendo che il figlio rincasava spesso in lacrime, e venuta a conoscenza delle vessazioni, si era recata più volte a scuola parlando con gli insegnanti e il preside, ma l’unica risposta ricevuta era stata il “consiglio” di accompagnare l’alunno e di venirlo a prendere dieci minuti dopo il suono della campanella. Così, visto che l’istituto non interveniva, la baby gang si è sentita autorizzata ad alzare il tiro. E le mani».
Il 27 gennaio 2016, l’episodio più grave. «All'uscita da scuola, nel cortile del plesso, il bambino è stato picchiato da compagni di classe e studenti delle medie e che gli hanno procurato botte e contusioni in tutto il corpo, specie alla schiena, dorso e arti. Ha avuto bisogno di cure mediche al pronto soccorso dell'ospedale più vicino, dove gli hanno riscontrato una prognosi di 15 giorni, ma l'ortopedico, dopo una visita specialistica, gliene avrebbe poi riconosciuti altri venti, prolungando in seguito la prognosi di ulteriori dieci. Le ferite fisiche, però, sono state il meno: il bambino ha subìto un profondo shock, non ha più avuto la forza di tornare in quella scuola, ha avuto bisogno di supporto psicologico per superare il trauma iniziando a soffrire di altri problemi, tra cui la bulimia».
È a quel punto che la madre ha deciso di rivolgersi a degli avvocati, Salvatore Agosta e Giuseppe Cilidonio «per salvaguardare il ragazzino e ottenere giustizia, non solo nei confronti dei violenti che lo avevano terrorizzato e malmenato, ma anche verso i loro genitori e chi aveva permesso tutto ciò omettendo di vigilare sulla sicurezza di un alunno sotto la sua responsabilità: l'istituto scolastico». Dito puntato insomma contro la scuola e il preside in primis, reo di aver negato gli atti di bullismo e rifiutato il nulla osta chiesto dalla mamma per trasferire il figlio in altro istituto.
È stato quindi coinvolto il Consultorio familiare dell'Azienda Sanitaria Provinciale. Solo di fronte all'attestazione che il bambino «soffriva di sindrome ansiosa a seguito di vari episodi di bullismo subiti in classe» e che si riteneva «necessario il trasferimento presso altro plesso scolastico per evitare di sottoporlo ad un costante stress con conseguente peggioramento della patologia», si è potuto iscriverlo in altro istituto. Attraverso lo studio legale, poi, il 29 febbraio 2016 la famiglia ha dunque presentato querela presso la locale stazione dei carabinieri, con successiva apertura di due procedimenti penali, e nei mesi seguenti ha continuato a denunciare in note trasmissioni tv, spiegano gli avvocati, «il suo caso, il lassismo della scuola, l’omertà di genitori, docenti e operatori scolastici, e l’isolamento e finanche le intimidazioni a cui è stata sottoposta per essersi “permessa” di “rompere” quel muro».
La Procura del Tribunale dei Minorenni reggino, dov’era incardinato uno dei due fascicoli, a conclusione delle indagini preliminari nel 2019 aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di A. Y., contestandogli di avere, in concorso con altri tre compagni di scuola, «con più azioni del medesimo disegno criminoso», fino al mese di gennaio 2016 minacciato la vittima, «dicendogli che l’avrebbero picchiato all’uscita da scuola», di «averlo percosso colpendolo con calci e pugni» e nell’episodio più grave del 27 gennaio 2016 «di avergli cagionato lesioni personali giudicate guaribili in quindici giorni», sempre «con l’aggravante di aver agito in più persone e ai danni di un soggetto minore e all’interno e nelle adiacenze di una scuola»: elemento che, spiegano i legali, conferma anche le pesanti responsabilità dell’istituto. «Reati (a parte quello di minacce, per il quale vi è stato il proscioglimento) che ora anche i giudici, dopo un processo gestito con tatto, scrupolo e professionalità, hanno accertato e punito».
«Finalmente in un’aula di tribunale è stato riconosciuto che quanto ripetevamo da anni io e mio figlio altro non era che la verità ed è stata fatta giustizia», afferma mamma Francesca, ora in attesa di risposte dall’altro procedimento pendente presso la Procura ordinaria di Reggio e che vede indagato l’allora dirigente scolastico della scuola frequentata dal figlio.