L'inchiesta "Petrolmafie Spa" è destinata ad allargarsi. Almeno per quanto riguarda il filone denominato "Andrea Doria", coordinato dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e dagli aggiunti Giuseppe Lombardo e Gaetano Paci.

Nel settembre scorso, infatti, i sostituti procuratori della Dda Paola D'Ambrosio e Gianluca Gelso hanno iscritto 684 persone nel registro degli indagati. Tutti sono accusati di concorso in riciclaggio. Molti di loro, però, non comparivano nel decreto di sequestro d'urgenza di beni per oltre 600milioni di euro e nemmeno nelle ordinanze di custodia cautelare, emesse a inizio aprile dai gip Vincenzo Quaranta e Giovanna Sergi. Si tratta di soggetti che, stando a un'informativa del Gico della Guardia di finanza, effettuavano continui prelievi di contanti su conti correnti postali intestati a società cartiere o a prestanome.

Risorse finanziarie che, una volta raccolte, venivano fatte pervenire, tramite "spalloni" ai vertici dell'associazione a delinquere dedita al traffico e alla commercializzazione di prodotti petroliferi. Collegata alle indagini "gemelle" delle Dda di Roma, Napoli e Catanzaro, infatti, l'inchiesta "Andrea Doria" della Dda Reggio Calabria ha fatto luce su una gigantesca frode fiscale messa in piedi dagli indagati Vincenzo e Gianfranco Ruggiero, ritenuti espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro, e dai fratelli Domenico e Giovanni Camastra, due imprenditori ritenuti vicini alla cosca Cataldo di Locri. Sarebbe contiguo alla cosca Labate, invece, il broker Giuseppe De Lorenzo a casa del quale, il giorno dell'arresto, la guardia di finanza ha trovato due valige con dentro oltre due milioni di euro in contanti.

Grazie alle intercettazioni, è emerso che l'associazione aveva la disponibilità di «un considerevole numero di conti correnti sia intestati a persone fisiche che a società accesi con il fine specifico di consentire la circolazione dei capitali illeciti derivanti in larga parte dalla violazione delle norme tributarie». Tra i 684 indagati ci sono proprio i titolari dei conti correnti e i cosiddetti «spalloni che, in cambio di poche centinaia di euro, si rendevano disponibili ad effettuare il prelevamento delle somme in contanti. Milioni di euro in contanti che, finivano in un locale nel centro direzionale di Napoli dove si procedeva alla conta delle banconote e allo smistamento degli importi ai vari componenti del sodalizio»