La banalità del male potrebbe essere una delle cause scatenanti la furia con cui, qualche tempo fa, un gruppo di ragazzi si è accanito contro un 38nne che a Scalea – sul tirreno cosentino – è stato oggetto di un vero e proprio raid punitivo, condotto a favore di inquadratura sull’isola pedonale di piazza Caloprese, in pieno centro.

Il video del pestaggio, contenente scene di estrema violenza, è stato girato coi telefonini da persone che si sono trovate ad assistere alla scena, le quali invece di intervenire hanno preferito girare un filmato da condividere poi sul web. Ancora incerto il periodo di riferimento, anche se dall’abbigliamento di vittima e aggressori, è facilmente desumibile che non possa trattarsi di molto tempo fa.

La vicenda ha suscitato molto clamore, al punto da aver costituito materia d’approfondimento per gran parte della cronaca nazionale, ma per quanti hanno a che fare giornalmente con casi simili, non costituisce assolutamente una novità.

«Quello che è accaduto a Scalea, è un episodio estremamente grave – ha commentato Sergio Caruso, criminologo forense – che deve far riflettere tutta la società civile, non solo concentrandoci sul fatto reato ma sulle probabili interpretazioni e le soluzioni. Sono emersi aspetti, dal punto di vista psicologico, estremamente gravi. Stiamo creando una società vuota, anaffettiva, con giovani privi di valori e privi di emotivi significativi. Tutti noi stiamo contribuendo a creare una società di soggetti basati sull’oggetto, una società che viaggia a colpi di like the, che dà poco spazio alle emozioni. Dobbiamo parlare con i nostri ragazzi perché sono troppo abbandonati a loro stessi, nella solitudine di un mondo virtuale che, ripeto, lascia poco spazio alle emozioni. Soprattutto, dobbiamo riscoprire la comunicazione emotiva all'interno delle famiglie e a scuola. Vorrei far notare anche che crimine significa tante cose, crimine è anche quello di chi guarda e non interviene».

«Tutto il materiale audio e video che assimiliamo – ha proseguito l’esperto – continuamente attraverso i mezzi di informazione e la tecnologia, influisce sulla nostra personalità. Siamo una società che anche nelle piccole cose ha bisogno di esibirsi, nel bene e soprattutto nel male. La nostra felicità è condizionata dal giudizio degli altri».

«A livello simbolico – ha concluso Sergio Caruso – questi giovani hanno bisogno di un progetto educativo, perché non possiamo pensare che la soluzione sia la repressione. Come direttore del master di criminologia della Calabria, da 15 anni m’impegno per incentivare la prevenzione nel nostro contesto, che è estremamente difficile. Devono essere istituzionalizzati progetti di prevenzione in età evolutiva, sui minori a scuola e sulle famiglie, altrimenti conteremo soltanto danni».