«Amore farà caldo stanotte non so se anche da te, bacio». Il messaggio arriva poco prima della mezzanotte dell’8 luglio 2018 a Zhao Chengtian. Mittente: Gianluca Castagna, poliziotto. L’amore, però, non c’entra nulla e neanche il caldo. 

Zhao Chengtian non esiste: il messaggio è destinato a Rosario Grasso, rampollo di una famiglia di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Grasso registra la dritta e sparisce: si dà alla macchia fino al maggio 2019, quando sarà arrestato ed estradato dalla Spagna.

Con quel messaggio iniziano i guai giudiziari di Castagna, che verrà arrestato il 14 ottobre 2020 e accusato dalla Dda di Reggio Calabria di essere una divisa sporca, un agente infedele. Quell’iter è giunto in queste ore alla sentenza di primo grado. L’ex poliziotto è stato condannato dal Tribunale di Palmi a 16 anni di reclusione e 80mila euro di multa oltre che al pagamento delle spese processuali.

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È inoltre interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per tutta la durata della pena. Il dispositivo emesso dai magistrati Angelina Bandiera (presidente), Francesca Morelli e Marco Iazzetti gli applica anche la misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore a 3 anni, il divieto di espatrio e il ritiro della patente (sempre per 3 anni).

Castagna, prima dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nel 2020, era un sovrintendente della Polizia di stato: fino a pochi mesi prima dell’arresto era stato in servizio nel posto di Polizia di Frontiera marittima del porto di Gioia Tauro. Proprio da quella postazione, si sarebbe speso per aiutare i clan a sottrarsi alle operazioni antimafia. Grazie alle sue soffiate – era l’ipotesi investigativa della Dda reggina guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri – avrebbe aiutato Grasso, considerato il rampollo della cosca Cacciola-Grasso, a sfuggire all’arresto nell’inchiesta Ares. In quella circostanza furono addirittura in 7 a rendersi irreperibili.

Grasso, era un’altra delle accuse, avrebbe condiviso informazioni strategiche su container e rotte delle navi che interessavano alla cosca per portare a termine i propri traffici di stupefacenti. Le contestazioni dell’antimafia dello Stretto hanno retto al primo step processuale: la partita ora si giocherà davanti alla Corte d’Appello.