«Scambiatevi un segno di pace…». Nel rito della Santa Messa è forse questo il momento che più di ogni altro colpisce anche chi segue la liturgia con una fede claudicante.

Stringersi la mano e augurarsi reciprocamente la pace esprime una sacralità laica che travalica il messaggio religioso. Il contatto fisico, con la stretta di mano che i fedeli si scambiano tra di loro all’invito del sacerdote, suggella l’augurio reciproco e, forse, per un attimo, “convince” anche i più agnostici che la redenzione dell’Umanità è possibile.

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Un gesto potente, quindi, come potente è la sua negazione. Ed è ciò che ha fatto il vescovo della diocesi di Oppido - Palmi, Giuseppe Alberti, che domenica scorsa è andato a celebrare messa a Varapodio, in seguito all’aggressione subita dal parroco don Giovanni Rigoli. Il sacerdote, al termine della celebrazione in suffragio di una defunta, aveva chiesto di evitare contatti fisici durante le condoglianze, proprio nel rispetto di una disposizione della Diocesi finalizzata a contrastare i contagi influenzali e per il Covid. Per tutta risposta era stato assalito verbalmente e preso a testate. Un episodio che ha creato grande sconcerto, la cui eco ha raggiunto anche la ribalta nazionale.

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Domenica, dunque, il vescovo Alberti ha raggiunto la chiesa parrocchiale di San Nicola, la stessa dell’aggressione, «per raccogliere fiducia e dare speranza» alla comunità scossa da quanto avvenuto pochi giorni prima. Ma al momento dello scambio del segno di pace, il vescovo lo ha impedito: «L’atto di pace che normalmente condividiamo qui durante la Messa, vorrei invitarvi a viverlo nel corso della settimana, porgendo la mano in segno di amore e riconciliazione, perché la verità di ciò che celebriamo qui, lo esprimiamo nella concretezza di ogni giorno». Come dire, inutile scambiarsi un segno di pace rituale se poi, nella realtà, si prende a testate il prossimo.