È uscito dal carcere di Paola, dove era detenuto, il 28 settembre scorso usufruendo di un permesso premio concesso dal magistrato di sorveglianza di Cosenza. Raffaele Calamita avrebbe dovuto fare ritorno nel penitenziario alle 9 di ieri, 5 ottobre, dopo una settimana trascorsa nella casa parrocchiale Madonna del Carmine, nella città tirrenica, invece non si è più visto. Così, dopo 12 ore dal mancato rientro, per il detenuto originario di Tropea si è concretizzata l’evasione.

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Il 26enne deve scontare una condanna a 16 anni di reclusione per l’omicidio del 45enne Salvatore Russo, soggetto gravitante negli ambienti della mala tropeana, ucciso con quattro colpi di pistola il 10 settembre 2013. Un delitto per il quale Calamita era stato inizialmente condannato a 24 anni, pena poi ridotta in appello e confermata in Cassazione, perché riconosciute le attenuanti generiche e l’esclusione della premeditazione.

I mandanti non sono mai stati individuati. La vittima era stata attesa sotto casa per essere eliminata, fondamentale la testimonianza di una donna. Dichiarazioni false, secondo il 26enne, che ha sempre sostenuto di essere stato incastrato, ritenendo di essere vittima di un complotto. E di recente un collaboratore di giustizia, originario della provincia di Vibo Valentia, pare abbia confermato questa tesi, affermando che la donna, testimone chiave del processo contro Calamita, sarebbe stata “indotta” a mentire. Così la Corte di Cassazione, valutando i nuovi elementi di prova, ha accolto la richiesta di revisione del processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli.