C’è un altro passaggio cruciale che ha accelerato la genesi peculiare della cosca Di Maio-Brandimarte, e nella conferenza stampa per l’operazione Joy’s Seaside il procuratore Giovanni Bombardieri lo evidenzia.

«Questa ‘ndrina - spiega - ha ottenuto la sua autonomia criminale approfittando degli scontri generati dall’omicidio di Rocco Molè». Il riferimento del capo della Dda è all’agguato in cui perì il boss, il primo febbraio del 2008, che gli inquirenti hanno da sempre classificato come un vero e proprio terremoto che segnò la fine definitiva della storica alleanza tra i Piromalli e i Molè. Invece, quell’omicidio che nessuno si aspettata, ora è letto anche come il viatico di una emersione che segnò la trasformazione di una famiglia, quella dei Brandimarte, che prima era composta prevalentemente da commercianti di bestiame - al più distintisi per alcune azioni criminali per conto dei Piromalli - come un’ala militare che anche attraverso la faida contro i Priolo, e l’inserimento nel traffico internazionale di droga, è diventata una cosca autonoma federata dei Molè.

«Sono storicamente documentati – aggiunge il procuratore aggiunto della Dda Gaetano Paci – i rapporti che negli anni i Brandimarte hanno intrattenuto con rappresentanti dell’imprenditoria che opera nel porto di Gioia Tauro». A significare, cioè, la radiografia di un clan che per crescere anche economicamente ha approfittato dello snodo portuale, anche se in questa indagine – cominciata nel 2017, con il coordinamento del magistrato Giulia Pantano – non sono stati riscontrati passaggi di droga tramite il terminal container, come altre volte era stato nel passato.

«L’odierna indagine – ha concluso il questore Bruno Megale – è la risposta migliore, assieme a quella che nei giorni fa hanno dato i carabinieri, data alla comunità che tramite il sindaco ha rivendicato un maggiore controllo del territorio: lo Stato c’è ed è più forte».