«Se non avete la certezza della colpevolezza di Susanna Brescia e se avete dei ragionevoli dubbi non potete condannarla, per cui chiedo l’assoluzione per non aver commesso il fatto». Ha concluso così la sua arringa l’avvocato Menotti Ferrari, difensore dell’imputata Susanna Brescia, accusata dell’omicidio del compagno Vincenzo Cordì, il cameriere trovato carbonizzato all’interno della sua auto in località Scialata di San Giovanni di Gerace nel novembre 2019.

Il penalista, davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Locri, ha proposto alla Corte d’Assise del tribunale di Locri una serie di argomentazioni mirate a scagionare la sua assistita (per cui la procura ha chiesto la pena dell’ergastolo) su tutte il fatto che la chiamata tra la donna e il figlio Francesco Sfara, avvenuta a pochissimi minuti di distanza dalla presumibile morte di Cordì e il fatto che i dispositivi di entrambi abbiano agganciato due celle in località diverse, dimostrerebbero che la donna in quel momento non si trovasse in compagnia del figlio.

Secondo l’avvocato mancherebbe all’interno della dinamica del fatto anche il requisito della soluzione di continuità tra la fase di ideazione e la fase esecutiva, per questo «la premeditazione non può sussistere». Infine il legale ha rimarcato come il ritrovamento dell’accendino sul quale sarebbero state trovate tracce del dna della donna non sarebbe una prova che lo abbia usato per uccidere il compagno. La sentenza di primo grado sarà pronunciata dal giudice Amelia Monteleone il prossimo 27 giugno.