Omicidio Timpano, il killer confessa: «L’ho ucciso per paura»

VIDEO | Nel corso dell'interrogatorio di convalida del fermo ha negato di aver agito con premeditazione e di essere stato intimorito dalla vittima. Versione che però non convince la Procura di Vibo

 
 
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di Angela  Panzera
22 agosto 2018
12:42

«L’ho ucciso per paura». Giuseppe Olivieri ha confessato di essere l’assassino di Francesco Timpano, il 45enne ucciso lo scorso 12 agosto al lido “Il gabbiano” di Nicotera Marina sotto gli occhi della moglie e davanti a numerosi bagnanti. Oggi si è svolto l’interrogatorio di convalida del fermo. In carcere, dinnanzi al gip di Vibo Nicola Alberto Filardo e al pm Ciro Luca Lotoro, titolare dell’inchiesta, assistito dal legale Francesco Schimio, Olivieri - che si è costituito spontaneamente ai Carabinieri della Stazione di Nicotera lunedì scorso - ha quindi dichiarato di essere lui il killer di Timpano. Da quanto trapela però, Olivieri avrebbe riferito agli inquirenti che quella domenica non si è recato volontariamente, e quindi con premeditazione, presso la struttura balnearia per uccidere il Timpano bensì di trovarsi lì anche lui nella struttura e di aver “incrociato” il Timpano che lo avrebbe intimorito. Secondo il racconto di Olivieri, ad armare la sua mano sarebbe stata la paura di essere vittima lui stesso di un agguato e di aver aperto il fuoco quindi, per prevenire un'eventuale azione omicidiaria. Una ricostruzione, quella fornita dall’indagato, che non convince per nulla la Procura di Vibo che, infatti, gli contesta di aver agito con premeditazione. A corroborare la tesi dell’accusa sono i numerosi filmati registrati, e successivamente acquisiti, dalle telecamere di videosorveglianza poste lungo la strada che nei pressi del lido “Il gabbiano”. Un'altra circostanza infine - che semina punti interrogativi nel narrato di Olivieri - è che la vittima non era né armata e stava trascorrendo la domenica al mare con la moglie. Indossava infatti, il costume da bagno, indumento che non permette di nascondere eventualmente un’arma.

Stando sempre a quanto trapela dall’interrogatorio di garanzia, Olivieri inoltre, avrebbe dichiarato di vivere in questo presunto stato di timore per la sua incolumità dall’11 maggio scorso giorno in cui il fratello, Francesco Olivieri, alias “Ciko” ha ucciso a Nicotera Giuseppina Mollese e Michele Valerioti e ha tentato di uccidere in un bar Vincenzo Timpano, fratello di Francesco; all’interno dell’esercizio commerciale si trovava anche un terzo fratello Timpano, Pantaleone. Ciko Olivieri ha sparato due fucilate poi si è dato alla fuga e si consegnato ai Carabinieri qualche giorno dopo. Per come ricostruito dalla Porcura di Vibo, e secondo anche quanto dichiarato dallo stesso Francesco Olivieri, il delitto della Mollese e di Valerioti è stato perpetrato per vendicare l’assassinio del fratello Mario Olivieri, avvenuto nel 1997 e per cui gli Olivieri erano convinti fosse stato ordinato proprio dalla Mollese, come “risposta” all’omicidio precedente del figlio Ignazio Gaglianò. È qui che ha origine la spirale di violenza che negli ultimi mesi ha insanguinato Nicotera e dintorni. Giuseppe Olivieri ha dichiarato che da quell’11 maggio ci sarebbero stati alcuni episodi, avvenuti con la vittima, che gli hanno generato paura per la propria vita. Secondo la tesi accusatoria, invece, Olivieri da tempo monitorava gli spostamenti di Francesco Timpano. È stato il figlio della vittima infatti, ad aver dichiarato agli inquirenti di aver notato “strani movimenti sotto casa”, circostanza confermatagli anche dal congiunto. Ed è per questo che per la Procura di Vibo la vittima dell’omicidio al lido “Il gabbiano” di Nicotera Marina, fosse già nel mirino del suo killer. Adesso il gip dovrà decidere se convalidare, o meno, il fermo emesso dalla Procura, ed emettere contestualmente l’ordinanza di custodia cautelare a suo carico. Le indagini della Procura e dell’Arma sul delitto Timpano però continuano, anche per stabilire la rete dei fiancheggiatori che ha permesso a Giuseppe Olivieri di darsi alla macchia per una settimana. L’indagato, durante l’interrogatorio di garanzia, ha dichiarato di non essere stato aiutato da nessuno, di essersi nascosto - per paura di essere ucciso - nelle campagne cercando di “cavarsela” in qualche modo fino a quando però, ha deciso di arrendersi. Dichiarazioni anche queste che non convincono per nulla gli inquirenti


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