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Il giudice dei minori dispone una perizia psichiatrica. Per l’accusa e per la famiglia di Francesco Prestia Lamberti, sedici anni, assassinato a sangue freddo lo scorso 29 maggio, a Mileto, il killer reo confesso, A.P., coetaneo della vittima, era invece lucido, capace d’intendere e di volere. Era perfettamente in sé, secondo l’accusa, quella sera, quando impugnando l’automatica 6.35 sottratta al nonno, esplose una raffica letale contro Francesco. Era in sé, secondo il pm, nei momenti successivi e precedenti il delitto.
Cinque i capi d’imputazione elevati a suo carico in un atto che, secondo la Procura dei minori di Catanzaro, racconta il consapevole delirio criminale di un adolescente. Lui che avrebbe prima ucciso Francesco e, poi, puntato una pistola al fianco di un altro ragazzo poco più che maggiorenne testimone del delitto. Lui che uccise Francesco perché geloso dell’affetto che la ragazza che pretendeva per sé manifestava al quel ragazzo bellissimo e di successo, a scuola e nello sport. Lo stesso che, per quella stessa ragazza, nei giorni precedenti aveva fatto inginocchiare e terrorizzato due coetanei, selvaggiamente percossi con un tubo di ferro. Che, armato di pistola, minacciò un altro minorenne affinché gli riferisse del legame tra Francesco e la ragazza della quale era infatuato.
Figlio di un narcotrafficante, rampollo di uno degli storici casati mafiosi miletesi, però, potrebbe nascondere altro. Perché Francesco potrebbe non essere stato ucciso in località Vindacito, a Mileto. Ma altrove. E perché, nella sua azione di morte, potrebbe non essere stato solo.