Il 13 gennaio 2018, nel cuore di Crotone, veniva ucciso Giuseppe Parretta, appena 18enne. Il dolore della sorella Benedetta: «Le istituzioni incapaci di darci sicurezza. Abbiamo paura»
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Due anni fa, il 13 gennaio 2018, veniva ucciso a Crotone il giovane Giuseppe Parretta. Un dolore straziante quello della famiglia. Nelle scorse settimane, la Corte d’Assiste di Catanzaro ha condannato (in primo grado) all’ergastolo Salvatore Gerace ritenuto il presunto autore dell’omicidio del 18enne. A prendere la parola, in occasione dell’anniversario della morte, la sorella Benedetta che punta il dito contro lo Stato: «Ho visto morire mio fratello tra le nostre braccia con lo sguardo ormai perso nel vuoto. Mi ha cresciuta come se fossimo due gemelli, uniti da un unico dolore, quello di essere orfani di padre», scrive la ragazza in una lunga missiva.
Una tragedia che segnò per sempre la sua vita e quella del fratellino Paolo: «Condanno lo Stato e chi lo rappresenta ai vertici per il modo in cui siamo trattati noi le “vittime invisibili”. Due anni di assurdo silenzio. Vedo mia madre – aggiunge - battersi con quella forza che non ha più, per reagire alla violenza più grande che una donna può subire, veder uccidere il proprio figlio per colpire lei, il proprio lavoro e i propri valori».
Katia Villirillo, infatti, nella sede dell’Associazione LibereDonne di Crotone, aiutava le donne vittime di violenza, tratta, prostituzione: «L’ho vista salvare tante donne in associazione. Usciva di notte, si organizzava con l’équipe di salvataggio, e le portava tante volte a casa nostra. Estranee con minori vivevano a nostre spese per giorni e a volte settimane finché non si trovava un posto sicuro», racconta Benedetta.
Sacrifici che venivano compresi dai figli: «Mia madre mi ha insegnato il coraggio, l’amore verso il prossimo e la legalità. Ho assistito a tanti attentati alla sua persona e all'associazione per aver calpestato i piedi a uomini del malaffare. Tante volte ho avuto paura per la sua vita, non per la nostra. Oggi – confessa - ho paura anche di questo, ho paura di essere perseguitata, aggredita».
Timori non per quanto portato avanti dalla donna, definita un vero esempio da seguire: «Ho paura per me e per tutti noi, per quel futuro che mi è stato strappato e che lo Stato non ha saputo restituirmi. Aspettavo risposte negli occhi di mia madre. Mi sarei aspettata appoggio immediato da enti istituzionali per far riaprire subito il centro». Non è arrivata neanche un’altra sede, per poter ricominciare: «Nulla, solo silenzio», ribadisce la giovane.
Così dopo tanto tempo, il senso di abbandono continua a crescere:«Lo Stato è incapace di dare sicurezza alle famiglie. Io non l’ho avuta, sono passati due anni dalla morte di mio fratello. Non esiste nessun progetto di affiancamento per le vittime di reato, nessuno sportello, nessun progetto dafne, nulla! Chi mi restituirà il futuro?».