Pene dai 30 ai sei anni di carcere sono state inflitte ai cinque imputati accusati per l’omicidio aggravato di Federico Gualtieri, 35enne, ucciso il 27 marzo del 2007 in un agguato mafioso a Lamezia Terme. La Corte di assise appello di Catanzaro, presieduta da Palma Talerico, ha bocciato l’ergastolo chiesto dal sostituto procuratore generale Massimo Lia a carico dei tre presunti mandanti del delitto, lasciando invariata la condanna di primo grado con cui il 3 marzo 2014 il gup del Tribunale di Catanzaro Domenico Commodaro, al termine dei giudizi abbreviati condannò a 30 anni di reclusione ciascuno Pasquale Giampà, detto “Mille lire”; Aldo Notarianni, detto “Alduzzu”; e Vincenzo Bonaddio, detto “Lucky”, ritenuti tra i componenti della cupola del clan Giampà, e mandanti del delitto. Sei anni di reclusione ciascuno furono invece inflitti ai due collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà, ex capo dell’omonimo clan, e per Vincenzo Ventura, che avrebbe avuto il compito di supportare i killer nell’omicidio. Il pubblico ministero Elio Romano, all’epoca aveva chiesto pene ben più pesanti, così come le ha chieste il sostituto procuratore generale: l’ergastolo per Giampà, Notarianni e Bonaddio, graziati dal rito abbreviato che ha consentito loro la riduzione della pena di un terzo. Federico Gualtieri fu freddato con 8 colpi di pistola mentre stava sistemando la sua bancarella della frutta davanti agli occhi della moglie e del suocero in via Mario Ferlaino. Secondo gli investigatori il delitto maturò nell’ambito della faida fra i clan Giampà e i Cerra-Torcasio-Gualtieri. Il giovane, in particolare, sarebbe stato ucciso perché Pasquale Giampà avrebbe temuto per la propria vita in quanto sospettava di essere la vittima predestinata di un agguato. Aveva saputo che Gualtieri stava effettuando dei sopralluoghi nel posto dove sarebbe stato pianificato l’agguato contro Giampà. Un sospetto che, costò al 35enne una condanna a morte che sarebbe stata firmata dagli esponenti di vertice dei Giampà.

 

Gabriella Passariello