È un giorno importante per la politica quel 16 ottobre del 2005. Da ore, in tutta Italia, milioni di persone si stanno recando nei seggi per partecipare all’esordio delle elezioni primarie per la scelta del candidato premier. Anche in Calabria quel giorno si vota e a Locri, come in centinaia di altri comuni, sono in tanti ad essersi presentati per sostenere il plebiscito che porterà in pochi mesi Romano Prodi a palazzo Chigi. Anche Franco Fortugno – rieletto da pochissimo, per la seconda volta, in Consiglio regionale con una valanga di voti e nominato di fresco vice presidente dell’assemblea di palazzo Campanella – varca il cancello di Palazzo Nieddu del Rio per votare.

Sono passate da poco le 17.30 e, mischiato assieme ai tanti elettori che affollano l’androne del palazzo, c’è anche Salvatore Ritorto, underdog della locale di Locri. È una questione di pochi secondi. Ritorto si avvicina a Fortugno approfittando della ressa e, con il viso coperto, esplode cinque colpi di pistola verso il politico della Margherita. Franco Fortugno muore quasi sul colpo, inutili i tentativi di rianimarlo nel vicino ospedale dove la stessa vittima rivestiva la carica di primario del pronto soccorso in aspettativa.

Un’azione fulminea e spietata, compiuta in pieno giorno e davanti a numerosi testimoni, per un omicidio tremendo che colpisce direttamente, per la prima volta dopo molti anni in Calabria, un alto rappresentante delle istituzioni regionali. Nel giro di poche ore la città viene invasa da giornalisti e forze dell’ordine (in quelle settimane diversi erano stati i morti ammazzati nella Locride) e i funerali di Stato in cattedrale a Locri, a cui parteciperà anche l’allora presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, si svolgeranno in un clima surreale di silenzio e paura.

Forse anche per questo, la reazione del territorio all’omicidio di Fortugno fu lenta a mettersi in moto e fragorosa quando esplose. Il movimento “ammazzateci tutti” –  che al suo interno, oltre a personaggi perennemente in cerca d’autore, coinvolgeva migliaia di giovanissimi da tutto il Paese – sfilò per le vie cittadine alla testa di un serpentone umano di 16mila persone. Numeri da capogiro che a queste latitudini non si vedevano dall’omicidio di Rocco Gatto.

I primi arresti arrivano nella primavera dell’anno successivo. A marzo, i carabinieri di Locri mettono le manette ad una serie di personaggi legati al clan dei Cordì, una delle storiche famiglie di ‘ndrangheta del mandamento jonico; tra loro anche il killer Salvatore Ritorto e il suo fiancheggiatore Domenico Audino. Poi, a distanza di quattro mesi, finiscono agli arresti anche i mandanti dell’omicidio: Alessandro Marcianò (caposala nell’ospedale di Locri) e suo figlio Giuseppe, entrambi, si scoprirà più tardi, grandi elettori di Mimmo Crea, primo dei non eletti in Consiglio regionale e subentrato a palazzo Campanella proprio in seguito alla morte di Fortugno. Saranno tutti condannati all’ergastolo in via definitiva.

«A 18 anni dall’assassinio di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale – ha detto oggi con una nota il presidente Roberto Occhiuto – la Calabria ha il dovere non solo di commemorare un uomo onesto, ma anche di rafforzare quotidianamente le ragioni della legalità e dello Stato di Diritto. Quell’omicidio fu una brutale intimidazione all’intera collettività calabrese: colpiva tutti noi perché colpiva la democrazia. Per questo dobbiamo coltivare la memoria, e non dimenticare. Tocca a ciascuno di noi, cittadini, corpi intermedi e istituzioni, fare in modo che il suo sacrificio non sia stato vano, e che il nome di Francesco Fortugno venga sempre onorato».