Prima di lasciare Reggio il Procuratore Giovanni Bombardieri ha messo un sigillo importante sul caso irrisolto dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Un segnale di presenza proprio quando i fari sembravano essersi spenti. L’ennesima richiesta di verità e giustizia lanciata dalla figlia del magistrato Rosanna Scopelliti, non sembra, dunque, essere caduta nel vuoto. 

«Questa è una delle indagini che la Procura, la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, sta seguendo. Dopo tanti anni ha riaperto un caso per il quale si sta lavorando duramente perché le difficoltà ad indagare su un fatto così atroce commesso decine e decine di anni addietro sono evidenti. Sono evidenti - ha detto Bombardieri - anche per la necessità di riscontrare alcune dichiarazioni che ormai si sa sono state rese da un ex collaboratore di giustizia e in relazione ai quali però necessitano tutta una serie di riscontri. Noi vogliamo il colpevole, i colpevoli non un colpevole qualsiasi».

Le indagini

«C’è la necessità  - ha detto ai nostri microfoni il procuratore Bombardieri - di fare un’indagine che sia il più possibile incentrata sui fatti a riscontro di dichiarazioni che sono state rese e che però da sole non sono sufficienti. E noi riteniamo di fare tutto quello che è possibile. Stiamo lavorando in tutti modi per cercare di dare riscontri oggettivi a delle dichiarazioni che sono state rese su questo fatto delittuoso e lo facciamo perché è giusto dare una risposta di giustizia non solo per la figura del giudice Scopelliti ma anche alla sua famiglia a questa terra e allo Stato intero e l’Italia intera perché è un delitto atroce che ha avuto un rilievo ed ha un significato in degli scenari criminali che hanno riguardato e riguardano l’intero paese».

«Ti chiedo scusa»

E in un giorno di dolore e di memoria Rosanna Scopelliti aveva anticipato di non voler rilasciare alcuna dichiarazione sulla mancata giustizia sull’omicidio del padre. Ma sono bastate poche parole, sussurrate all’orecchio della figlia durante la deposizione della corona, a dare eco a un dolore mai sopito. «Ti chiedo scusa», ha sussurrato Rosanna a sua figlia, nipote del giudice Scopelliti. E non potendo rimanere indifferenti a tale grido silenzioso a lei abbiamo chiesto il perché di quel gesto così profondo.

«Mia figlia mi ha accompagnato e per il primo anno ha portato anche lei la corona di fiori per il nonno. Le ho chiesto scusa perché in questi anni purtroppo nulla si è mosso perché sono 33 anni che chiediamo verità e giustizia e soprattutto perché vorrei che le fosse tributata questa verità. A lei come bambina non solo come familiare ma come nuova generazione di un paese che non può rimanere in silenzio. Di un paese che non può vivere del silenzio delle istituzioni preposte in questo caso».

«Riaprire i faldoni»

E un segnale di speranza è arrivato dall’onorevole Wanda Ferro che raccogliendo l’appello della figlia del giudice ha preso un impegno importante. «Troppe volte si dà per scontato che i casi per i quali sono passati troppi anni non debbano trovare una verità. Io credo che sul caso Scopelliti bisogna riprendere in mano i faldoni affiancarsi ai magistrati che non hanno mai smesso di lavorare su questo caso e cercare una verità perché seppur tardiva è sempre una verità che dobbiamo consegnare alla Calabria, che dobbiamo consegnare agli italiani.

Una verità di una pagina buia del nostro paese che ha consegnato molti latitanti in ultimo Matteo Messina Denaro che probabilmente ha portato con sé anche questo segreto. Lo Stato deve dare la garanzia ai cittadini di non arrendersi. La partita è aperta. Quindi, credo che attraverso una sollecitazione al presidente la commissione antimafia Chiara Colosimo potremmo riaprire questo faldone e soprattutto iscrivere la verità sulla morte di Nino Scopelliti un grande magistrato, un grande grande uomo di Stato, un grande uomo delle istituzioni».

«Non ci fermeremo»

E a confermare la volontà di non spegnere i riflettori sul caso Scopelliti è stato Stefano Musolino procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Io credo molto nel ricordo. In realtà siamo una terra che ha avuto molti eroi uccisi dalla mafia ma ne parliamo sempre troppo poco. Antonino Scopelliti per noi è stato più che eroe, un modello di magistrato. È morto in ragione dell’attività che è stata svolgendo e a causa dell’attività che stava svolgendo. È stato un magistrato straordinario che è stato protagonista di processi importantissimi nella storia giudiziaria italiana. Però come è stato notato non a caso da Giovanni Falcone in un suo commento proprio l’anno della morte pochi giorni dopo ripercorrendo quella poi che è stata l’intuizione più recente di Pif “la mafia uccide solo d’estate”.

C’è un modo per occultare la rilevanza di alcune storie, di alcune persone. Ma è importante ricordare che non siamo soltanto mafiosi, non siamo soltanto inefficienze, non siamo soltanto inadeguatezze. Siamo anche una società fatta di persone che hanno avuto la capacità di tenere la schiena dritta e di affrontare chi ha ridotto questa terra nelle condizioni in cui oggi. E di questo dobbiamo essere orgogliosi. Sul caso Scopelliti non ci possiamo fermare. Non ci fermeremo come per tutti gli omicidi che non sono stati ancora risolti. Le cose si fanno sempre più complesse quanto più avanti il tempo ci separa dagli eventi perché la ricostruzione dei fatti è sempre meno chiara, meno definita. E noi abbiamo anche uno scrupolo di fare bene le cose non soltanto di dare una risposta qualsiasi. Ce l’abbiamo sempre, in particolare modo iper un evento di questo genere».

Lo Stato unito

E lo Stato si è unito in tutte le sue funzioni nel ricordare che la verità va ricercata a tutti i costi. Così anche il Prefetto Clara Vaccaro ha ribadito come «lo Stato c’è. Lo Stato sta continuando a cercare la verità. È chiaro che per chi ha subito questo torto e questo dolore, per i cittadini può sembrare inspiegabile e può sembrare inspiegabile che accadono ancora alcune cose o delle cose per il quale ci si diciamo sempre sarà l’ultima volta. Però lo Stato c’è e rivivere questo lutto serve per andare avanti e reagire e indignarsi. Continuare a indignarsi perché se non c’è l’indignazione non si può andare avanti».