Gli inquirenti vanno cauti: hanno un quadro chiaro sullo scenario e sulle dinamiche della faida nelle Preserre. Lo spauracchio di nuovi collaboratori di giustizia, Giovanni Emmanuele si dà latitante (ASCOLTA L'AUDIO)
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Una lettera anonima. Conterrebbe indicazioni su chi avrebbe sparato. Sull’esecuzione dell’agguato. Sulle armi utilizzate. Su chi le avrebbe custodite prima e forse anche dopo quell’efferata esecuzione costata la vita ad un innocente, Filippo Ceravolo, ucciso a soli 19 anni, la sera del 25 ottobre del 2012. È stata ricevuta nelle scorse settimane dal papà di Filippo, Martino Ceravolo, che l’ha consegnata ai carabinieri, i quali – coordinati dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – non hanno mai smesso di indagare su quell’atroce fatto di sangue, maturato nel contesto del riesploso focolaio di guerra nelle Preserre vibonesi, che ha visto contrapposti gli eredi del clan Loielo e gli Emanuele.
Le letture possibili
Bersaglio designato, quella sera, doveva essere Domenico Tassone, considerato un esponente degli Emanuele, a cui Filippo Ceravolo, con l’auto in panne, aveva chiesto un passaggio per rientrare dalla casa della fidanzata, da Vazzano nella sua Soriano. Tassone rimase praticamente illeso, mentre la pioggia di fuoco investì fatalmente Filippo. Martino Ceravolo mantiene il riserbo: «Nulla da dire al riguardo, mi affido ai magistrati e ai carabinieri». «No comment», anche dall’avvocato Michele Gigliotti, che assiste la famiglia Ceravolo. Gli inquirenti non confermano, né smentiscono. Uno scritto credibile o solo l’iniziativa di un mitomane o, peggio, un maldestro tentativo di depistaggio? Indipendentemente dal peso astrattamente attribuibile allo scritto, la sensazione è che sui fatti della faida che ha insanguinato le Preserre vibonesi, con una sequela di morti ammazzati, prevalentemente giovanissimi, la Procura antimafia di Catanzaro sia prossima ad una svolta.
Una nuova gola profonda?
Potrebbe esserci almeno un nuovo collaboratore di giustizia, capace di offrire elementi preziosi al pool di Nicola Gratteri, a carabinieri e poliziotti, per chiudere il cerchio. La sua ombra aleggia, peraltro, sul ritrovamento del corpo di Antonino Loielo, scomparso senza che ciò fosse denunciato da alcuno dei suoi congiunti, nell’aprile del 2017. Il cadavere, seppellito in una zona boschiva impervia di Ariola, a Gerocarne, è stato riportato alla luce grazie agli scavi della Squadra mobile di Vibo Valentia lo scorso 4 novembre. Un omicidio che non c’entra con la faida, contestato ad uno dei figli della vittima, Ivan, mentre un altro figlio, Walter, già coinvolto in alcune vicende connesse alla guerra di mafia, avrebbe aiutato il fratello a nascondere il corpo. Antonino Loielo, peraltro, era primo cugino dei boss Giuseppe e Vincenzo Loielo, il cui duplice omicidio consentì a Bruno Emanuele di divenire il padrone incontrastato dell’Alto Mesima. Esiste davvero un collaboratore di giustizia tra i ranghi dei Loielo, ovvero in seno alla cosca che avrebbe ordito, tra gli altri, l’agguato costato la vita a Filippo Ceravolo?
Emmanuele alla macchia
Mentre le armi, in quell’area, sembrano essersi assopite, agli inquirenti non sfuggono comunque segnali di nervosismo in seno alla malavita locale, sempre più schiacciata dalla pressione fortissima degli apparati dello Stato e alle prese con lo spauracchio di ulteriori collaborazioni eccellenti con la giustizia. Da qualche settimane, tra gli irreperibili, c’è anche Giovanni Emmanuele, cugino - oltre che di Domenico Tassone - anche del padrino ergastolano Bruno Emanuele. Condannato in via definitiva a sette anni e otto mesi per reati di droga, s’è dato alla macchia sfuggendo all’ordine di esecuzione pena.
La catena degli agguati
Avrebbe avuto un ruolo importante nelle dinamiche della faida: sopravvisse anche ad un tentativo di omicidio, l’1 aprile del 2012, mentre era a bordo della sua auto. Il successivo 2 giugno fu invece ucciso Nicola Rimedio, considerato vicino ai Loielo. Il 25 settembre 2012 fu trucidato Domenico Ciconte, zio di Rimedio. Il 12 aprile del 2013, ancora, l’omicidio di Salvatore Lazzaro, cugino dello stesso Rimedio, mentre era detenuto ai domiciliari. Sul fronte opposto, quello degli Emanuele, sarebbe invece caduto Antonino Zupo, il 22 ottobre 2012. Dopo una breve stasi, le dinamiche della faida sono riesplose negli ultimi anni con una serie di agguati a cui sono scampati miracolosamente diversi presunti appartenenti al clan Loielo: Valentino Loielo, bersagliato a colpi di mitraglietta; Alessandro Giovanni Nesci, mentre si trovava a piedi in una viuzza di Sorianello insieme al fratello dodicenne, peraltro affetto dalla sindrome di down; Nicola Ciconte, rimasto ferito in un attentato maturato con un’autobomba, i fratelli Cristian, Alex Loielo e Walter Loielo ed i loro cugini Rinaldo e Valerio Loielo.
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