L’ex soldato di Nino Accorinti e Pantaleone Mancuso spiega nel maxi processo le trame mafiose lungo la rotta Nicotera-Briatico-Pizzo
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Sette anni di detenzione, poi la decisione di saltare il fosso: dal carcere di Taranto alla sezione speciale di Rebibbia. Giuseppe Comito era un soldato al servizio di Pantaleone Mancuso alias Scarpuni, il mammasantissima di Nicotera Marina, e di Nino Accorinti, lo storico capobastone di Briatico. Tocca a lui rimpolpare la batteria dei cinquantaquattro collaboratori di giustizia chiamati a sfilare come propri testi dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per Rinascita Scott. Con il suo esame così è entrata nel vivo l’ultima udienza del maxiprocesso.
La condanna, il pentimento
Condannato in via definitiva a trent’anni di carcere – per il concorso nell’omicidio di Francesco Scrugli (il killer vibonese braccio destro di Andrea Mantella, alleatosi ai Piscopisani e ucciso il 21 marzo 2012 a Vibo Marina, nel contesto della faida coi Patania) e nel tentativo di omicidio di Rosario Battaglia e Raffaele Moscato – Giuseppe Comito era conosciuto come Peppe Canna. Ex istruttore di windsurf, aveva una piccola impresa di impianti elettrici, ma l’impiego sicuro era quello che i capimafia a cui era arringato gli avrebbero assicurato nelle guardianie di alcuni villaggi turistici.
«Per mia figlia ed i miei genitori era una sofferenza che durava da anni, per questo ho deciso di collaborare con la giustizia», ha esordito rispondendo alle domande del pm Anna Maria Frustaci. Poi il cuore della sua deposizione. «Nino Accorinti fu messo a “guardare” il Garden Resort da Pantaleone “Scarpuni” – ha spiegato – I proprietari erano i fratelli Stillitani, il gestore una società tedesca, poi subentrarono i francesi. Ed io qui trovai impiego come guardiano di notte».
I boss del territorio
Il collaboratore ha spiegato quale sia la geografia mafiosa del Vibonese, per come appresa nei suoi anni di militanza nel clan dell’asse Mancuso-Accorinti: «A Santa Domenica di Ricadi comandava Pasquale Quaranta, a Tropea i La Rosa, a Zungri gli Accorinti, a Filadelfia, Pizzo e Curinga gli Anello, a Sant’Onofrio i Bonavota». Ha quindi specificato come tra Pasquale Bonavota, boss di Sant’Onofrio, e Pantaleone Mancuso alias Scarpuni esistesse un dialogo, che però fu incrinato in ragione dei pessimi rapporti tra lo stesso capomafia di Nicotera Marina con gli altri fratelli Bonavota, quando questi imposero la propria presenza nel Club Med di Pizzo.
«Non sono mai stato formalmente affiliato alla ‘ndrangheta – ha aggiunto – dalle nostre parti non si faceva. Si diceva che non era necessario, tutti sapevano a chi ero vicino. In ogni caso si temeva che una formale affiliazione potesse portare solo a più anni di carcere».Ha poi evidenziato come tra il 2010 ed il 2011 fu ingaggiato da Nino Accorinti per un tentativo d’omicidio. Tale incarico gli fu “revocato” mentre gli fu assegnato il compito di collaborare alla pianificazione dell’omicidio di Francesco Scrugli. A quel punto il suo interlocutore non fu più il boss di Briatico, ma direttamente Pantaleone Mancuso. «Eravamo io e Franco Alessandria ad andare direttamente da Scarpuni – ha precisato – prima di portare a compimento le azioni delittuose».
Scarpuni – ha chiarito il testimone – era al vertice: «Tutte le famiglie si rivolgevano a lui, quando c’era un lavoro grosso da fare veniva interpellato lui. A Pizzo è stato lui a gestire l’apertura dei villaggi, le ditte e quant’altro. Io lo conobbi grazie a mio cugino, Nazzareno Colace. Erano sempre insieme loro due e Domenico Polito, che poi furono arrestati per l’estorsione a Ceravolo».
Villaggi e appalti
Tornando al Club Med, Giuseppe Comito ha rammentato come Nino Accorinti gestisse «in pratica tutte le assunzioni, decidendo anche quelle di persone indicate da altre cosche, compresa quella dei Vallelunga di Serra San Bruno». E poi: «Un giorno nel villaggio fu trovato un bidone di benzina, lo abbiamo detto a Nino Accorinti e, tramite i Vallelunga, abbiamo scoperto che erano stati gli Anello, perché erano contrariati dell’espansione di Pantaleone Mancuso da quelle parti. Per ricambiare il favore ai Vallelunga, fu assunto Cosimo, nipote di Damiano».
Su Peppone Accorinti, boss di Zungri, il pentito ha spiegato come «Gregorio Niglia, figlio di Pino il Cane e Ciccio Barbieri» erano i suoi uomini di fiducia. Tra Peppone e Nino Accorinti, oltre che una parentela, esistevano ottimi rapporti. Specie su Briatico, tutto doveva passare da Nino, a partire dagli appalti: «Ricordo ad esempio che Francesco Mallamace si aggiudicò i lavori per una strada, poi subì una intimidazione. Quando si rivolse a Nino Accorinti, gli fu assicurato che non sarebbe accaduto più nulla e così avvenne». Ha specificato come anche tra Pasquale Quaranta e Pantaleone Mancuso esistessero ottimi rapporti. «In loro presenza parlavamo – ha detto – di omicidi, tentati omicidi, di ditte che dovevano lavorare».
Incalzato dal pm Frustaci, Comito ha quindi concentrato il suo narrato sul Garden Resort di Pizzo: «Sono gli stessi gestori del Rocca Nettuno, che subivano l’influenza dei La Rosa. Sul Garden Resort c’erano i Bonavota che gestivano la ditta di pulizie, assieme agli Anello e ai La Rosa. Il villaggio fu costruito da Nazzareno Guastalegname, Franco Barba e qualche ditta degli Iannazzo di Lamezia Terme. Chi faceva prendere questi lavori era Pantaleone Mancuso, anche se era in stato di arresto. Questo fu possibile perché c’era un suo parente, ovvero Cosmo “Michele” Mancuso, accompagnato da Accorinti, che incontrò il dottore Stillitani insieme a uno degli Anello».
La ’ndrangheta a Vibo Marina
Per quanto attiene invece Vibo Marina, Giuseppe Comito ha spiegato come fosse il clan Tripodi a dominare il territorio. Altre figure di calibro che conobbe e che avevano grande influenza criminale su quella zona erano Nazzareno Colace, Michele Palumbo, Domenico Polito, Raffaele Moscato ma, soprattutto, Antonio Vacatello «che aveva un locale a Vibo Marina, un pub. Lui – ha aggiunto il collaboratore – spacciava droga da anni ed era molto vicino ai Piscopisani». E poi: «Tra Vacatello e Peppone Accorinti, fino al giorno del mio arresto, il 10 dicembre del 2012, non c’erano rapporti. E neppure tra Vacatello e Pantaleone Mancuso». Sempre fino alla data del suo arresto, non esisteva alcun rapporto neppure tra Vacatello e Nino Accorinti, in ragione della vicinanza del primo ai Piscopisani e ai Tripodi, che facevano parte di un cartello criminale che si percepiva come contrapposto.