VIDEO | A Limbadi la manifestazione organizzata da Libera in memoria della giovane imprenditrice. L’appello della madre e dei figli: «Chi sa parli»
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Cinque anni fa, davanti alla proprietà di località Montalto a Limbadi la sparizione di Maria Chindamo. Era la mattina del 6 maggio del 2016 quando l'imprenditrice di Laureana di Borrello, 42 anni, fu vittima dalla lupara bianca. E oggi, a distanza di 5 anni da quella sparizione, i familiari continuano a chiedere verità e giustizia. Nel giorno dell'anniversario della scomparsa di Maria, davanti a quel cancello è stato organizzato da Libera un sit-in. Ci sono i figli di Maria: Federica, Letizia e Vincenzo. C'è anche l’anziana mamma, Pina, ancora piegata da un dolore cieco che non accenna a scemare: «È grande la nostra sofferenza – dice –, anni di indagini ma nulla di concreto. Nessuno parla». Un appello, il suo, a squarciare il velo di omertà che avvolge questa vicenda. «Ringrazio le istituzioni e tutta questa gente che mai ci hanno fatto sentire soli, ma vogliamo che sia trovato il colpevole. Mia figlia è scomparsa 5 anni fa e non so dove sia».
Accanto a lei, Vincenzo, il primogenito di Maria: «Abbiamo trasformato la nostra sofferenza in forza di volontà e voglia di combattere per la giustizia», spiega. Ma il suo appello lo rivolge agli autori del delitto di sua madre: «Riflettete su ciò che avete fatto. Perché – dice -, la vostra colpa si rinnova ogni giorno da 5 anni a questa parte. Fateci ritrovare nostra madre». Parole che riecheggiano davanti a una folla numerosa ma comunque attenta al rispetto delle regole anti- Covid. A Limbadi c’è Libera, ci sono le istituzioni, dal sottosegretario per il Sud, Dalila Nesci, che invoca il riconoscimento formale dei familiari di Maria Chindamo come vittime di mafia, al prefetto Roberta Lulli fino al questore Raffaele Gargiulo. Ci sono i sindaci di Limbadi, Sant’Onofrio e Laureana di Borrello. C'è la scuola con i suoi studenti.
«Mia sorella è stata condannata a morte da un tribunale clandestino», commenta Vincenzo Chindamo che racconta i tanti momenti di solitudine e di sconforto, «ma ci sono stati anche momenti positivi, quelli scanditi dalla solidarietà – continua -. Uomini dello Stato, della Chiesa, delle associazioni, gente comune: in tanti ci hanno aiutato ad affrontare il nostro dolore. Davanti a questo cancello - spiega - si è consumato un orrore. Un cancello che si è trasformato oggi in un simbolo di rinascita del nostro territorio». E poi aggiunge: «Per abitare questa Terra tutti dobbiamo fare qualcosa di più». Quel qualcosa di più che Vincenzo Chindamo chiede alle istituzioni: «Forze dell'ordine, magistrati, vi prego… vi preghiamo: fate giustizia».
Al prefetto e al questore si è rivolto don Ennio Stamile. Il referente di Libera Calabria ha dato loro il «benvenuto in questa terra ferita ma bella». «Bella per i suoi cittadini onesti che chiedono che il territorio venga affrancato dalla ‘ndrangheta. In Calabria – ha affermato - si registra il maggior numero di vittime di lupara bianca. Vite cancellate e corpi spariti, come accaduto a Maria e a Francesco Vangeli. Mamme e figli strappati con violenza inaudita all'affetto dei proprio cari, ai quali viene negato pure il conforto di piangere sulle loro tombe». Infine, rivolgendosi alle istituzioni, ha concluso: «Questa Regione e, in particolare la provincia di Vibo Valentia, ha bisogno di una presenza costante e continuativa delle istituzioni».