La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale contro la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro che aveva confermato l'assoluzione di Mario Occhiuto, ex sindaco di Cosenza, imputato per diversi episodi di peculato relativi a rimborsi per missioni istituzionali tra il 2013 e il 2017.

Le accuse e i precedenti giudizi

All’attuale senatore di Forza Italia, Mario Occhiuto, all’epoca dei fatti primo cittadino di Palazzo dei Bruzi, veniva contestato il fatto di aver percepito anticipazioni e rimborsi per spese non giustificate da attività istituzionali effettive. In primo grado, il gup di Cosenza, Claudia Pingitore all’esito di giudizio abbreviato, lo aveva assolto per non aver commesso il fatto (capi d’accusa A e B, concernenti la falsificazione dei documenti di spesa da parte del capo segreteria Giuseppe Cirò) e perché il fatto non sussiste (capi d’imputazione C e D, relativi a rimborsi fondati su documentazione irregolare o carente).

La Corte d'appello aveva rigettato l'appello della Procura generale di Catanzaro, e ora la Cassazione ha confermato in modo definitivo l’assoluzione, come richiesto dall’avvocato Nicola Carratelli, difensore di Mario Occhiuto.

Il ricorso della Procura generale di Catanzaro

La Procura Generale lamentava una “motivazione apparente” nella sentenza d’appello, ritenuta aderente a quella di primo grado. Inoltre, contestava il rigetto dell'istanza di rinnovazione istruttoria per ascoltare nuovamente l’ex capo della segreteria, Giuseppe Cirò e l’ex senatore del M5S, Nicola Morra, soggetti ritenuti centrali per chiarire la veridicità delle accuse e finanche la mancata valutazione di presunte anomalie nei rimborsi, tra cui documentazione falsa o non adeguatamente giustificativa delle missioni.

Le motivazioni della Cassazione

La Cassazione ha giudicato infondata la pretesa di escutere nuovamente Cirò e Morra. Il giudizio di presunta inattendibilità di Cirò si sarebbe fondato non solo sull'acredine personale verso Occhiuto, ma su una più ampia valutazione negativa della sua credibilità e sull'assenza di riscontri esterni. Riascoltare quei testi, ha osservato la Suprema Corte, avrebbe inciso solo marginalmente, senza scardinare la struttura logica dell'assoluzione.

Infine, riguardo ai capi d’accusa relativi a rimborsi fondati su documentazione irregolare o carente, la Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato, ovvero che il reato contestato a Mario Occhiuto non si configura per la semplice irregolarità contabile ma serve la prova dell'appropriazione concreta del denaro a fini personali. Per cui, ha evidenziato la Cassazione, una "pezza giustificativa", anche se inadeguata o carente, può dar luogo a responsabilità amministrativa o contabile, ma non automaticamente a responsabilità penale.