C’è il giovane Nicolò Sfara a fare da cardine tra la testa (a Gioiosa Marina) e il portafoglio (a Roma, sul litorale pontino e nell’hinterland milanese) del clan dei Mazzaferro. È lui, sospettano i magistrati romani, a gestire in modo occulto una piccola galassia di attività fittizie legate al commercio di carburanti, organizzate tra loro in modo tale da schermare profitti e pendenza Iva per un giro d’affari milionario garantito da società cartiere e “di comodo” costituite solo per movimentare finte compravendite. Ed è sempre lui, scrive il Gip nell’ordinanza che lunedì ne ha disposto l’arresto assieme ad altri 18 indagati, a curare i rapporti con il clan “madre” in Calabria, grazie al rapporto privilegiato con suo zio Rocco Mazzaferro considerato il “capo società” della cosca.

Tratteggiato dai giudici come spavaldo e intraprendente, il giovane nipote del mammasantissima di Marina avrebbe avuto il compito di «riciclare i proventi illeciti della cosca e, più in particolare, quelli derivanti dalla frode all’Iva» per conto del clan. Un ruolo che il giovane avrebbe preso molto sul serio tanto «da siglare accordi affaristico-criminali anche con esponenti di altri contesti criminali particolarmente attivi nel settore del narcotraffico, essendogli affidati, insomma, compiti e incarichi che sono appannaggio esclusivo di quei soggetti cui è stata attribuita una “carica” di rilievo all’interno della ‘ndrangheta». Sarebbe il giovane Sfara, ipotizzano i giudici, a intrecciare rapporti con altre organizzazioni criminali attive nella capitale, e ci sarebbe sempre lui, quando un affare rischia di saltare, ad intervenire minacciando ritorsioni tipicamente mafiose.

Come nel caso di un debito non saldato da tale “King”, imprenditore di origine siciliana che muove residenza e affari tra le spiagge della Florida e quelle del Costa Rica. Sfara è furioso per lo sgarro che ritiene di avere subito e, intercettato dagli inquirenti, racconta ad un suo sodale quale sarà la sua prossima mossa: «vuol dire che io metto in mezzo… gli amichetti miei… li faccio salire e se la vedono loro che cazzo devo fare? E… noi dobbiamo solo un attimo vedere tutti i punti… i punti chiave e poi…li mandiamo là…andiamo da tutti i responsabili, a me che c... me ne frega».

Sono gli affari legati al commercio dei carburanti quelli su cui ruotano gli interessi del giovane nipote del boss. Affari anche su banche e mercati esteri, in grado di movimentare milioni di euro (quasi sette quelli recuperati e posti sotto sequestro dal Gico della guardia di finanza) e che finivano per influenzare l’intero mercato locale dei petroli. Due i tipi di società che venivano utilizzate dagli indagati: quelle “cartiere”, che emettevano fatture per operazioni inesistenti per frodare il fisco e per riciclare denaro, e quelle “di comodo” operative solo sulla carta «che sono state sistematicamente utilizzate al fine esclusivo di realizzare una mera gestione del patrimonio dei soci, non esercitando in realtà alcuna effettiva attività imprenditoriale o commerciale».