«Mi ha chiesto se gli potessi rilasciare una ricevuta, sulla quale riportare i litri esatti erogati ed anche il prezzo corrisposti. Conoscendolo come una persona seria non ho esitato a compilargli la ricevuta che ho consegnato nelle sue mani». Sono le 8.30, minuto più minuto meno: non sono state acquisite le immagini di videosorveglianza del distributore utili a cristallizzare i fatti, i protagonisti e l’orario. Nicola, secondo la testimonianza verbalizzata dai carabinieri, pagherà i nove litri di carburante all’addetto della Q8. Alle 9:24:50 successive una donna telefona disperata al 112: chiede aiuto, perché Nicola geme, straziato delle ustioni, in una zona appartata dentro il cimitero di Stefanaconi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, quei nove litri di carburante acquistati meno di un’ora prima se li sarebbe versati tutti addosso, dandosi fuoco, scegliendo forse il modo più atroce per togliersi la vita. Morirà il giorno dopo, Nicola, al Sant’Eugenio di Roma. Morirà suicida, secondo le indagini che la Procura di Vibo Valentia, dopo un anno di investigazioni, ha chiesto di archiviare. Certo, però, è strano che un uomo talmente disperato da togliersi la vita, infliggendosi una sofferenza inimmaginabile, tenga a farsi rilasciare una ricevuta del carburante che avrebbe usato per uccidersi. Ma Nicola si è ucciso, come sostengono gli inquirenti? O è stato ucciso, come sostiene sua moglie Anna Maria? «Non me lo leva nessuno dalla testa», dice la donna, che ha presentato – con il supporto del suo legale di fiducia, l’avvocato Pietro Naso – istanza di opposizione. «Mio marito – afferma Anna Maria Rosano – amava la vita, amava i miei figli, amava me, non si sarebbe mai ucciso e mai lo avrebbe fatto in quel modo».

Lo strazio al cimitero

Stefanaconi, è il 23 novembre del 2019. Nicola Arcella, dipendente precario all’Ufficio tributi del piccolo Comune alle porte di Vibo Valentia compirà 58 anni tra un mese, il 28 dicembre. Secondo la ricostruzione operata dai carabinieri, intervenuti dopo la chiamata della donna, Nicola parcheggia la sua Mazda davanti al cimitero, prende la tanica col carburante, quindi, una volta varcato il cancello, si incammina lungo il viale, in fondo al quale, girando sulla destra, c’è uno spazio che qualche giorno prima avrebbe visitato assieme al custode. Qui toglie le scarpe, il maglione, l’orologio e li ripone accanto al gradino sul quale lascia il cellulare. Qualche metro più in là, su un anfratto di terra, si versa addosso praticamente l’intera tanica e, dandosi fuoco, diventa una torcia umana. Il suo corpo è letteralmente devastato dalle ustioni, molte delle quali di terzo grado. Quando viene soccorso respira a fatica e, dice la donna che per aiutarlo gli ha gettato addosso diversi secchi d’acqua, al cimitero non c’è nessuno. Nessuno dentro, nessuno fuori, ad allontanarsi, né a piedi, né in auto. Non sono stati acquisiti nelle indagini filmati utili a stabilire lo scarto temporale tra il momento in cui Nicola giunge al cimitero e quello in cui la donna, scossa dagli strazianti gemiti, accorre verso di lui. Utili ad accertare se siano stati movimenti sospetti, da e per il cimitero, di auto e persone, tra le 8.30 e le 9:24:50 del 2019.

Indagine da archiviare?

Deciderà il gip, a questo punto, se la Procura dovrà continuare o meno l’indagine aperta, fin qui contro ignoti, per istigazione o aiuto al suicidio. «Dagli accertamenti delegati – si legge nella richiesta di archiviazione – non sono emersi elementi utili a suffragare l’ipotesi di reato astrattamente ipotizzata». Insomma, esclusa dal principio l’ipotesi omicidiaria, secondo l’autorità requirente e la polizia giudiziaria nessuno avrebbe indotto, rafforzato il proposito o aiutato Nicola a suicidarsi. Eppure, di cose strane, in questa vicenda, ve ne sono diverse. Perfino la lettera d’addio, nella quale spiega il suo gesto, ricondotto al senso di colpa per degli «errori» che avrebbero danneggiato alcuni amministratori comunali, un autolavaggio ed una tabaccheria, e nella quale si abbandonava a parole struggenti di disperazione e d’amore verso i suoi cari. Viene ritrovata in un cassetto, la mattina del 25 novembre, cioè il giorno dopo il decesso e due giorni dopo il dramma consumatosi al cimitero. È il cassetto nel quale Nicola, persona metodica e puntuale, teneva le sue cose e, soprattutto, i suoi documenti. Tra il 23 ed il 25, in quel cassetto rovista sua moglie, così come altri familiari. In quel cassetto – racconta Anna Maria Rosano – invece la troverà suo figlio Simone, appena rientrato dall’Emilia Romagna. «In quel cassetto – ripete con determinazione sua moglie – prima non c’era».

Un uomo integerrimo

Ma Nicola era depresso? Preoccupato? Intimorito da qualcosa? Nicola non era più lo stesso e nell’ultimo mese soprattutto non era più la persona solare che tutti conoscevano. Lo dicono tutti coloro che sono stati sentiti a verbale dagli inquirenti: dai congiunti fino agli amministratori locali. Già vicesindaco di Stefanaconi, presidente della Pro loco, militante comunista, da ultimo aveva aderito al movimento di Luigi De Magistris. Era un uomo impegnato, con molti interessi. Ed era una persona che godeva di grande stima nella comunità, considerata integerrima, onesta fino al midollo: ed è molto importante questo, considerando che siamo a Stefanaconi, quella che i giornali nazionali negli anni ’90 definirono «la Corleone calabrese», teatro di guerre di mafia, infiltrazioni ’ndranghetiste a vari livelli e commissariamenti. Certo, ha sempre vissuto con enorme disagio la sua condizione di precario storico: prima alla Provincia, poi alla Regione, infine al Comune. A lui, che di fatto sgobbava senza sosta mandando avanti l’Ufficio Tributi, non erano riconosciuti molti diritti e, soprattutto, doveva faticare parecchio per far quadrare i conti a casa e arrivare a fine mese. Era poi preoccupato per il suo figlio minore, ragazzo fragile che aveva deciso di lasciare la scuola. Nicola, preoccupato sì, per questo non si era mai abbattuto, anzi.

Le due pratiche

Ciò che ha devastato, ancora inspiegabilmente, la sua esistenza, è stato altro: il lavoro, sì, le pratiche, due in particolare, quelle sull’autolavaggio e sulla tabaccheria; due pratiche sulle quali avevano acceso i riflettori, da tempo, i carabinieri della Stazione di Sant’Onofrio. Due pratiche non acquisite agli atti dell’inchiesta sulla morte di Nicola Arcella: non c’è, nel fascicolo, una loro copia, né una relazione investigativa. Eppure, per queste due pratiche, omicidio o suicidio che sia stato, un uomo perbene ci ha rimesso la vita.