Diciotto persone sono state raggiunte da una misura cautelare emessa dal gip di Milano nell’ambito di un’inchiesta della Dda, condotta dalla Dia, dal nucleo investigativo dei Carabinieri di Monza e dal nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria, con le accuse, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione ed al compimento di numerosi frodi nell’ottenimento illecito di contribuiti Covid e bonus fiscali, i cui proventi erano destinati ad agevolare le attività dell’ndrangheta ed in particolare della cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti.

Dall’indagine avviata nel 2019 sono emersi due gruppi criminali: uno responsabile di reati economico-finanziari e l’altro di traffico di droga e di estorsioni. Entrambi - stando alle pm Paola Biondolillo e Sara Ombra, coordinate dalla procuratrice aggiunta Laura Pedio - sarebbero stati diretti da un medico calabrese, collaboratore di alcune Rsa milanesi, già condannato in via definitiva per traffico di sostanze stupefacenti e, soprattutto, figlio dello storico capo della cosca, attualmente detenuto in regime di 41-bis a seguito di condanna irrevocabile per associazione mafiosa. Si tratta di Giovanni Morabito, figlio 59enne del boss Giuseppe noto come ‘u tiradrittu’. 

L’indagine, che è poi proseguita nel periodo della pandemia, ha visto coinvolte in totale 68 persone, tra i quali anche molti cosiddetti colletti bianchi.

Il gruppo criminale dedito ai reati economici

Il primo dei due gruppi, che ha visto la partecipazione di professionisti ed imprenditori, titolari nel centro di Milano di diverse società di consulenza e portatori del necessario “know how” tecnico- giuridico, è risultato dedito alla commissione dei seguenti illeciti economico-finanziari: la creazione di un sistema di società “cartiere”, di fatto non operative ed unicamente dedite all’emissione di false fatture, volte a fornire una “copertura cartolare” ad inesistenti acquisti di beni e di servizi,  all’unico scopo di creare, a favore di terzi clienti, la disponibilità “in nero” di ingenti somme di denaro contante. Questi ultimi, infatti, a fronte del bonifico effettuato a pagamento della falsa fattura, ottenevano, al termine di diversi “passaggi” coinvolgenti conti correnti “on line” radicati su banche europee ed extracomunitarie, ingenti somme di denaro, così sottratte a ogni forma di controllo e monitoraggio da parte delle Autorità.

Nel corso delle attività investigative, è stato possibile sequestrare circa 50.000 euro in contanti, provento delle operazioni illecite, nonché ricostruire altre consegne di denaro gestite dall’organizzazione. Gli inquirenti avrebbero anche accertato la creazione e la vendita di false polizze fideiussorie, formalmente emesse da uno dei più grossi gruppi bancari nazionali, a favore di imprese e ditte individuali che mai le avrebbero legalmente ottenute, in quanto prive della necessaria solidità patrimoniale e/o dei necessari requisiti di onorabilità.

Le  “false” polizze servivano al consapevole acquirente per garantire, nei confronti di inconsapevoli “terzi”, il rispetto di obblighi derivanti da reciproci rapporti contrattuali. In un caso, le false fideiussioni sono state create a favore di imprese operanti nel settore dei giochi e delle scommesse che mai avrebbero potuto ottenerle legalmente, in quanto colpite da interdittiva antimafia emessa al termine di indagini riguardanti anche il reato di associazione mafiosa, allo scopo di garantire l’adempimento degli obblighi economici conseguenti al contratto stipulato con il concessionario dello Stato.

Fra le operazioni accertate, la commercializzazione di falsi crediti d’imposta “Ricerca & Sviluppo” ceduti a terze società che, consapevoli della loro natura fittizia, li avrebbero utilizzati per compensare il pagamento di imposte e di contributi previdenziali. Tali crediti erano creati da un’altra organizzazione criminale con sede nella provincia di Napoli e composta da professionisti (commercialisti, periti ed ingegneri), alcuni dei quali già condannati per analogo reato.

Truffa ai danni dello Stato per ottenere i bonus Covid

C'era poi l’organizzazione di truffe aggravate ai danni dello Stato, dirette al conseguimento di finanziamenti ed erogazioni previste dalle norme sul Covid 19. Le indagini avrebbero, da un lato, accertato l’effettiva percezione di tali somme, dall’altro evitato, tramite la tempestiva attivazione delle competenti Autorità, l’indebita erogazione di somme e di benefici economici (nella forma del finanziamento garantito e del credito d’imposta) per circa 2 milioni di euro, per i quali era già stata depositata la prevista documentazione artatamente predisposta. In uno di questi casi, proprio per sfruttare una specifica norma diretta a favorire la capitalizzazione delle società nel periodo della pandemia, erano stati creati, attraverso bilanci contraffatti, fittizi aumenti di capitale sociale, impiegando, anche grazie alla compiacenza di periti e pubblici ufficiali, titoli esteri di dubbio ed incerto valore ed aventi caratteristiche tecniche difformi da quelle previste dalla legge. 

L’organizzazione avrebbe reinvestito il provento dei reati sopra indicati ed in particolare di quelli commessi a danno dello Stato, nella creazione, congiuntamente ad altri soggetti anch’essi indiziati di appartenere alla ’ndrangheta, di nuove società commerciali che avrebbero operato in settori quali quello edile - sfruttando i benefici dell’Ecobonus -, della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti, del commercio di carburante e della grande distribuzione.

Il traffico di droga

Il secondo dei due gruppi criminali si sarebbe reso responsabile di più delitti di importazione, acquisto, trasporto e cessione sul mercato del Nord Italia (Milano, Torino e altre province) ed in Calabria, di centinaia di chili di sostanze stupefacenti (cocaina, eroina, marijuana e hashish) oltre a gestire un’attività di recupero crediti mediante le tipiche modalità utilizzate dalle organizzazioni mafiose anche ricorrendo, quando necessario, all’uso di armi.

A tale scopo, il sodalizio disponeva di basi logistiche e operative, dove i sodali potevano incontrarsi e custodire lo stupefacente, tra cui un magazzino in Paderno Dugnano; telefoni cellulari, intestati a terze persone, cambiati con frequenza e utilizzati per le comunicazioni inerenti l’attività illecita; autovetture impiegate per il trasporto dello stupefacente, spesso appositamente noleggiate a tal fine o messe a disposizione da uno degli indagati.

L’indagine ha consentito di ricostruire anche i canali di approvvigionamento esteri e, in occasione di una delle cessioni intercettate, è stato possibile arrestare in flagranza il corriere e sottoporre a sequestro 5 kilogrammi di eroina, inizialmente destinata al mercato calabrese. Sono state documentate innumerevoli compravendite di stupefacente, per un totale di 50 kg di eroina, 150 kg marijuana e circa 50 kg di hashish, provenienti anche dalla Spagna, dall’Austria e dall’Albania ed è stata, altresì, verificata l’apertura di un canale di vendita di cocaina proveniente dal Perù e dal Brasile e destinata ai membri di una nota famiglia di ‘ndrangheta. Sono state eseguite nelle provincie di Milano, Monza Brianza, Pavia, Varese, Novara, Alessandria, Messina e Foggia, perquisizioni in abitazioni ed aziende risultate nella disponibilità dei soggetti coinvolti, anche con il supporto di unità cinofile anti-valuta della Guardia di Finanza.