La sigla “Falange armata”, utilizzata per rivendicare le cosiddette “stragi continentali”, il rapporto tra i servizi segreti e la 'ndrangheta e alcuni strani suicidi e omicidi consumati all'inizio degli anni Novanta. Ma anche la struttura Gladio, l'omicidio del paracadutista del Sismi Vincenzo Li Causi in Somalia nel 1993 e il fallito attentato a Palazzo San Giorgio nel 2004 quando, su segnalazione del Sismi, la squadra mobile trovò alcuni panetti di tritolo nella sede del Comune di Reggio Calabria.

Sono stati questi i temi trattati oggi dal commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano, sentito nel corso del processo ‘Ndrangheta stragista che vede alla sbarra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli.

Graviano e Filippone sono stati condannati in primo grado all'ergastolo per l'agguato ai carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994. Davanti alla Corte d'Assise d'Appello, il commissario capo della Dia ha ricostruito il contenuto delle due informative depositate nei mesi scorsi dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.

All'inizio dell'udienza, il giudice Bruno Muscolo ha sospeso i termini di custodia cautelare per Graviano e Filippone e ha dato atto che in Corte d'Assise d'Appello è arrivata nei giorni scorsi una lettera del boss di Platì Domenico Papalia detenuto nel supercarcere di Parma. Oltre a essere stato indicato come “vertice nazionale della 'ndrangheta”, Papalia sarebbe stato in contatto con i servizi segreti.

Nella lettera il boss si lamenta delle inchieste del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e si scaglia contro i pentiti definendoli «falsi collaboratori di giustizia» e «millantatori»: «Io sono in carcere da 45 anni e se collaborassi con i servizi segreti - dice - non sarei ancora qui, con la certezza di finire i miei giorni in carcere».

Papalia contesta anche le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Annunziato Romeo, che sarà sentito in aula nelle prossime udienze. «Sono in carcere da mezzo secolo e non vedo come si possa dare credito a Romeo che sono al vertice nazionale della 'ndrangheta. Anche se esistesse tale organismo non verrebbe certo affidato a un pastore ignorante dell'Aspromonte».