Il valore sociale e investigativo delle inchieste sul traffico di sostanze stupefacenti assume un significato importante quando dalle indagini si passa alle condanne. È il momento in cui, le iniziali ipotesi di reato trovano conforto nel giudizio dei giudici che, dal primo grado alla Cassazione, valutano ogni elemento a carico degli imputati. Il narcotraffico, quindi, è uno dei fenomeni criminali più invasivi e devastanti per una comunità, perché dietro al cosiddetto “delitto” si celano affari illeciti che arricchiscono le cosche, ma distruggono la vita a chi fa uso di droga: dalla cocaina all’hashish.

Negli anni gli investigatori - dalla Guardia di Finanza alla Polizia di Stato - hanno speso la maggior parte del loro tempo a contrastare questo flusso di denaro sporco, tra le principali fonti di “reddito” dei clan, in particolare modo quelli del Cosentino, dove - ad esempio - la cosca degli zingari - intesa quella che opera a Cassano Ionio e quella che ha la base operativa nel quartiere popolare di via Popilia, a Cosenza - ha il monopolio quasi assoluto del traffico di cocaina. La vendita parte da loro e la “roba” viene successivamente distribuita agli altri gruppi. È la storia recente che ci consegna questo quadro criminale. Basti pensare a “Job Center”, che al termine del percorso processuale ha visto “cadere” Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, componente della famiglia “Banana”, oggi collaboratore di giustizia insieme alla moglie, Anna Palmieri, o all’inchiesta “Apocalisse”, fondata sugli accertamenti investigativi condotti dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Cosenza.

Questa indagine ha confermato l’esistenza di un’associazione a delinquere dedita al narcotraffico capeggiata da Marco Perna, che pochi mesi fa è stata riconosciuta in quanto tale anche dalla Suprema Corte di Cassazione. Gli ermellini, infatti, hanno rigettato tutti i ricorsi presentati dal collegio difensivo che puntava ad una ulteriore rideterminazione della pena, già parzialmente avuta dalla Corte d’Appello di Catanzaro, la quale, rispetto al tribunale collegiale di Cosenza, aveva ridotto le condanne dei 15 imputati che avevano scelto il rito ordinario.

L'inchiesta Apocalisse

Apocalisse nasce nel periodo in cui la Dda di Catanzaro, all’epoca coordinata dal procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, mette in fila un arresto dopo l’altro nell’ambito della famiglia degli “zingari”, grazie al lavoro investigativo della Squadra Mobile di Cosenza, diretta in quella fase dal vice questore, Giuseppe Zanfini e dal Nucleo Investigativo dei carabinieri, che faceva riferimento al Maggiore, Michele Borrelli, oggi in pensione. Sono gli anni in cui l’Antimafia di Catanzaro cerca di fare luce sulla morte del boss, Luca Bruni, ucciso e sepolto in una contrada del comune di Castrolibero, in una notte gelida di inizio gennaio del 2012, e attende di chiudere il cerchio sul clan denominato “Rango-zingari”, al cui vertice ci sono proprio Maurizio Rango e Franco Bruzzese, quest’ultimo divenuto in seguito pentito di ‘ndrangheta.

Le attenzioni dei carabinieri, dopo aver portato a compimento le inchieste “Nuova Famiglia” e “Doomsday”, si concentrano su un magazzino del quartiere “Serra Spiga”, a Cosenza, luogo in cui Perna e i suoi sodali nascondevano la droga. Le indagini partono dalla procura di Cosenza e, grazie a un lavoro di coordinamento con Catanzaro, la Dda applica nel procedimento penale in questione, i magistrati Salvatore Di Maio, oggi sostituto procuratore generale presso la procura generale di Catanzaro e Domenico Assumma, attuale pm della procura ordinaria di Catanzaro, che collaborano con il pm antimafia, Pierpaolo Bruni, attualmente procuratore capo di Paola.

Apocalisse”, oltre a un numero ingente di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché di pedinamenti e controlli a tappeto, si avvale inizialmente della collaborazione investigativa di Silvio Gioia, condannato in abbreviato a quasi 3 anni di carcere, che svela gli interessi di Marco Perna. Ma non è finita qui. Passata la fase dei ricorsi al Riesame di Catanzaro e dell’udienza preliminare, all’apertura del dibattimento, l’accusa cala il jolly. Tra i banchi dell’aula 9 del tribunale collegiale di Cosenza siede l’avvocato Michele Gigliotti, uno dei difensori che segue, tra le altre cose, i collaboratori di giustizia. Scorrendo la lista degli imputati, il presidente del collegio arriva al nome di Luca Pellicori e diventa ufficiale la collaborazione con la giustizia del contabile di Marco Perna.

Seppur nella sentenza di primo grado c’era stato un ridimensionamento delle accuse, relativamente alla partecipazione di una parte degli imputati nelle attività di narcotraffico, in secondo grado, con la riduzione delle condanne, si scrive l’atto finale di “Apocalisse”, sigillato nove mesi dopo, ovvero a marzo del 2021, dalla quarta sezione penale della Cassazione, presieduta dal presidente Francesco Maria Campi.

Le condanne definitive

  • Marco Perna (15 anni),
  • Giovanni Giannone (8 anni),
  • Riccardo Gaglianese (7 anni e 8 mesi),
  • Andrea Minieri (7 anni e 2 mesi),
  • Giuseppe Chiappetta (7 anni),
  • Giuseppe De Stefanis (7 anni, che ha ottenuto il rinvio relativamente alla misura della libertà vigilata),
  • Francesco Scigliano (7 anni),
  • Alessandro Andrea Cairo (6 anni e 11 mesi),
  • Ippolito Tripodi (6 anni e 9 mesi),
  • Danilo Gannone (6 anni e 8 mesi) 
  • Pasquale Francavilla (6 anni e 8 mesi).