«Il nostro è stato un rapporto particolare, un rapporto filiale. Era stata lei stessa a chiedermi di chiamarla mamma. Quello è stato un momento che ricordo sempre con particolare gioia».

 

È stato per lungo tempo il medico curante di Natuzza Evolo. Una paziente speciale che il dottre Francesco Perticone chiamava mamma. A 11 anni dalla morte della mistica di Paravati, avvenuta il primo novembre del 2009, lo specilista, che è anche coautore del libro “Il sangue di Natuzza si fa scrittura” insieme a Lucia Bisantis e Franco Frontera, sulle emografie della serva di Dio, ricorda i loro incontri, le loro confidenze.

 

«Anch'io ho avuto l'esperienza di queste emografie: ho poggiato il fazzoletto che avevo nel jeans, piegato, sulla spalla sinistra di natuzz, dove c'era la stimmata della croce e una volta levato e aperto, sul fazzoletto era presente un'immagine che raffigurava la madonna, un rosario e una frase in latino: “beati i poveri di spirito come i gigli in mezzo ai campi di rovi”».

Natuzza e la medicina

Ma che rapporto aveva natuzza con la medicina? «Era una paziente difficile, bisognava stare attenti al dosaggio dei farmaci perché a volte aveva delle reazioni partciolarmente esagerate ma molto spesso la gestione delle sue malattie l'abbiamo condivisa. Scherzosamente, sapendo che c'era l'angelo, ogni tanto le dicevo: mamma Natuzza, chiedi consiglio all'angelo. Sto forse sbagliando o sto facendo bene? E lei, con il suo dolce sorriso e rigorosamente in dialetto mi rispondeva: “u medicu siti vui”.

 

Voleva che io lavorassi mentre l'angelo riposava. Starle accanto è stata un'esperienza arricchente. La sua modestia, la sua umiltà, il suo buon senso di brava popolana, connotavano tutto ciò che faceva pur nella grandezza della sua enorme spiritualità e della vicinanza alla Madonna e a Gesù Cristo».

Un legame indissolubile

Un legame solido il loro nato quando il medico si rivose a mamma Natuzza per chiederle preghiere per il fratello gravemente malato. Un legame forte che ancora oggi vive nei gesti e nel cuore di Perticone. «Anch'io ho conosciuto Natuzza perché l'unico fratello che avevo manifestò un tumore al cervello e dopo 4 anni morì.

 

In quella circostanza conobbi Natuzza e da quel momento, per tanti e tanti anni, le nostre vite sono state molto vicine. Lei mi ha insegnato ad essere umile, modesto, rafforzando quelli che erano stati gli insegnamenti di mio padre, dei miei nonni, ma soprattutto ad essere disponibile ad aiutare gli altri con amore.

 

Quando ho bisogno mi rivolgo a lei perché la sua generosità e la sua diponibilità ad aiutare gli altri io l'ho vissuta per tantissimi anni. La sua presenza e il suo ricordo continuano ad essere parte integrante della mia vita».