Le parole di Nicola, fratello del bambino rapito da Cosa Nostra nel 1993: «È una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era solo un bambino»
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«Nessun sollievo». La morte di Matteo Messina Denaro non cambia nulla per Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, strangolato e sciolto nell’acido da Cosa Nostra a 14 anni.
«Mi auguro che possa vivere il più a lungo possibile per avere una lunga sofferenza, la stessa che ha imposto a mio fratello, un ragazzino innocente» aveva detto Nicola dopo l’arresto del boss di Castelvetrano, avvenuto lo scorso 16 gennaio a Palermo.
Messina Denaro, invece, è morto questa notte dopo qualche giorno di coma nell’ospedale de L’Aquila, a 62 anni, trenta dei quali passati da latitante.
«Ancora devo metabolizzare la notizia – dice Nicola Di Matteo ad Adnkronos - Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato. Da credente non avrei potuto augurargli la morte, non si può augurarla a nessuno se si ha un po' di umanità, ma se fosse rimasto in vita, sofferente, avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto».
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Giuseppe fu rapito perché il padre aveva cominciato a collaborare dopo essere stato arrestato, nel 1993. La collaborazione di Santino Di Matteo aveva dato una svolta alle indagini sulle stragi di Capaci e Via d'Amelio, era stato lui a fare i nomi degli uomini di Cosa Nostra coinvolti.
Nel novembre del 1993 quattro membri del clan dei Corleonesi travestiti da poliziotti, per ordine di Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro, presero Giuseppe e lo portarono nel bunker che avevano allestito per la sua prigionia, durata 779 giorni.
L'11 gennaio 1996, otto giorni prima di compiere quindici anni, Giuseppe Di Matteo fu strangolato con una corda e sciolto in un fusto di acido.
«Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l'omicidio del bambino non c'entro» aveva detto Messina Denaro ai magistrati che lo interrogavano dopo l’arresto.
Ma non c’è perdono, per Nicola Di Matteo: «Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me. Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. È una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino».