Soprannominato “Assu i mazzi”, fu un grande tessitore di accordi tra famiglie. Accusato di grappoli di omicidi e a lungo manovratore dei traffici di cocaina all’interno del porto di Gioia Tauro, continuava ad essere un capo temuto nonostante i decenni passati dietro le sbarre
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Se ne è andato circondato dai suoi cari Umberto Bellocco, storico capobastone della ‘ndrina di Rosarno, morto in ospedale grazie alla sospensione della pena richiesta e ottenuta dai suoi legali a causa dell’aggravarsi della malattia. L’anziano boss era detenuto, in regime di carcere duro, nel penitenziario di Opera. Grande tessitore di accordi tra famiglie – a lui si “deve” la nascita della Sacra corona unita in Puglia – accusato di grappoli di omicidi e a lungo manovratore dei traffici di cocaina all’interno del porto di Gioia Tauro, “Assu i mazzi” continuava ad essere un capo temuto, nonostante i decenni passati dietro le sbarre.
Umberto Bellocco, l'ascesa
Fa il suo primo “ingresso” in carcere agli inizi degli anni ’80 in Puglia, per una faccenda legata alla detenzione di armi illegali. Quelli, diranno le indagini, sono gli anni in cui, grazie anche alla mediazione del boss camorristico Raffaele Cutolo, nasce per suo tramite la Sacra corona unita, propaggine mafiosa in grado di intervenire sullo scacchiere criminale pugliese in appoggio alle strategie dei clan. Ma è Rosarno il feudo del capobastone. È nella cittadina alle spalle del porto che il boss muove gli affari della sua famiglia, che su Rosarno si è spartita il potere con i Pesce, alleati a corrente alternata degli stessi Bellocco.
Droga, estorsioni e omicidi
Estorsioni, usura, omicidi e, ovviamente, il traffico di droga attraverso il porto: quella che i Bellocco stendono, assieme ai Pesce, su Rosarno è una cappa di malaffare che ha lasciato segni profondi in città. Ed è sempre vicino Rosarno che “Assu i mazzi” viene scovato dai carabinieri dopo cinque anni di latitanza. Anni nei quali, da latitante, riesce anche a “metter su” famiglia. Tornerà liberò solo per una manciata di mesi, nel 2014, prima di essere nuovamente arrestato nell’ambito dell’indagine “Sant’Anna” che aveva svelato i propositi del vecchio boss di recuperare il tempo perduto e fare pesare la sua influenza sugli equilibri criminali del territorio.
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Le parole di Vincenzo Albanese
Dotato di una delle maggiori “cariche” previste dagli assetti ‘ndranghetistici e diffidente per natura, Bellocco aveva intrecciato rapporti pericolosi con i maggiori boss calabresi tanto da essere “protagonista” di due tentati attentati: uno che lo vedeva come vittima designata, l’altro che lo avrebbe visto come mandante ed esecutore. Fu suo nipote acquisito, il collaboratore di giustizia Vincenzo Albanese, a raccontare nel maxi processi “Rinascita” le dinamiche che portarono ad un passo dall’ennesima faida. «Quando mio zio venne rilasciato nel 2014, voleva accentrare nuovamente a se tutto il potere criminale e per tale motivo – ha dichiarato il collaboratore – si scontrò con gli altri esponenti della ‘ndrangheta tra i quali Luigi Mancuso. Si scontrò anche con i Pesce».
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L’idea di Bellocco era quella di attirare il mammasantissima dei Mancuso con la scusa di un appuntamento per parlare. Appuntamento a cui però Mancuso non si era presentato. Più o meno quello che aveva fatto lo stesso Bellocco una trentina di anni prima. «Circa 30 anni fa – ha raccontato ancora Albanese – i Piromalli avevano fissato un appuntamento a mio zio per ucciderlo, d’accordo con i Mancuso e probabilmente anche con Nino Pesce, detto Testuni. Mio zio però non andò all’appuntamento».