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Ci sono «plurimi e significativi elementi di prova» dai quali si desume la «finalità simulatoria alla quale nel tempo ha mirato» l’ex parlamentare Amedeo Matacena creando società fittizie, molte con sede all’estero, per evitare che i suoi beni fossero posti sotto sequestro dalla magistratura in seguito al passaggio in giudicato della condanna a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni - depositate oggi - del via libera all’arresto dell’imprenditore latitante a Dubai in relazione all’accusa di intestazione fittizia di beni alla cui gestione, sottolineano gli "ermellini", «era direttamente associata la moglie» di Matacena, Chiara Rizzo, «anche in funzione di persona interposta», ossia di prestanome di comodo. Con questo verdetto - sentenza 38563 della Sesta sezione penale - la Cassazione ha confermato l’ordinanza del tribunale del riesame di Reggio Calabria emessa il 26 novembre 2014 nell’ambito dell’inchiesta, l’ennesima aperta a carico dell’ex parlamentare di Fi, nella quale si contesta a Matacena di aver fatto sparire le sue partecipazioni societarie. Il processo è in corso innanzi al Tribunale di Reggio Calabria e vede tra gli imputati anche l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, oltre alla Rizzo, ai quali la magistratura contesta di aver aiutato Matacena a fuggire all’estero e a schermare le società. Ad avviso della Suprema Corte, le attività di riorganizzazione del gruppo societario Matacena «prendono il via con il progressivo abbandono delle cariche sociali da parte dei membri della famiglia e la successiva creazione di schermi societari, spesso estero-vestiti, sprovvisti di qualsivoglia plausibile giustificazione».
«In tale contesto - conclude la Cassazione - il noto progetto di fusione invertita rappresenta l'ultimo, significativo ma non unico, atto di una lunga serie, ragionevolmente ritenuta dai giudici del merito cautelare suscettibile di poter prefigurare, con alto grado di probabilità, la responsabilità penale» di Matacena nel processo in corso.
L’ex parlamentare è a Dubai da più di due anni e il ministero della Giustizia è al lavoro da tempo per cercare di ottenere la sua estradizione.