VIDEO | L'ex consigliere regionale della Valle D'Aosta di origini reggine fu arrestato nel gennaio 2019 con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma i giudici di secondo grado, dopo quattro anni di processi, l'hanno assolto con formula piena
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Incarcerato per 214 giorni con l'accusa di favorire le 'ndrine infiltratesi al nord, umiliato, picchiato dagli altri detenuti e poi assolto con formula piena, «il fatto non sussiste», perché riconosciuto innocente dai giudici del secondo grado giudizio e dagli ermellini della Suprema Corte di Cassazione, che respingono il ricorso della procura. Sembra la storia di un film drammatico degno di Oscar e invece è la vicenda reale di Marco Sorbara, 57 anni, ex consigliere regionale della Val D'Aosta di origini reggine. La sua storia è stata raccontata nel corso di un convegno, moderato dal giornalista Luca Bruzzano, che si è svolto al Museo del Mare di Belvedere Marittimo e rientra nei progetti della "Settimana della legalità". All'evento, inoltre, hanno preso parte tra gli altri il sindaco Vincenzo Cascini, la vicesindaca Francesca Impieri e il consigliere regionale della Calabria e presidente della commissione della commissione consiliare contro il fenomeno della 'ndrangheta, della corruzione e dell'illegalità diffusa, Pietro Molinaro.
Il caso che fa discutere
Marco Sorbara, all'epoca dei fatti assessore al comune di Aosta e consigliere regionale rieletto, viene arrestato e condotto in carcere una mattina del gennaio 2019. L'accusa è concorso esterno in associazione mafiosa e la misura cautelare si sarebbe resa necessaria per la «pericolosità» dell'indagato, visti e considerati i suoi stretti rapporti con due potenti cosche calabresi che hanno messo radici al nord. L'accusa, però, stride con la storia personale e politica di Sorbara, che respinge ogni imputazione e si dichiara innocente ad ogni fase dell'inchiesta. Tutto inutile. Sorbara, sospeso dai ruoli istituzionali, passa oltre sette mesi nel carcere di Biella, i primi giorni in isolamento, poi viene trasferito nella sua dimora, dove sconta gli arresti domiciliari per altri 695 giorni. Per tutto questo tempo, porta i segni della violenza che i detenuti gli hanno inflitto secondo le leggi carcerarie interne, a cui non si sfugge, e continua a chiedersi se i suoi famigliari gli vogliano ancora bene. La pena, forse, più dolorosa di tutte. Ma i suoi cari, che lo conoscono meglio di qualsiasi magistrato, non solo continuano ad amarlo e a sostenerlo nella sua battaglia per la verità, ma diventano la sua forza, la sua unica ragione di vita, ed è a loro che pensa Sorbara quando a un certo punto della storia gli affiora il pensiero di farla finita e mettere un punto all'agonia.
La condanna e l'assoluzione
In primo grado Sorbara viene condannato a dieci anni di carcere. Una delle prove schiaccianti, secondo i giudici che emettono la sentenza, è che l'imputato abbia partecipato a un matrimonio a Reggio Calabria a cui avevano preso parte anche i presunti esponenti di 'ndragheta che lui avrebbe poi favorito in Val D'Aosta. Le accuse erano false. Ci sono voluti quattro anni di processi e di sofferenze per ristabilire la verità e cioè che Sorbara è innocente e non ha favorito alcun affare della mafia. Lo ha stabilito una sentenza dei giudici di secondo grado e anche quelli della Corte di Cassazione, che il 23 gennaio 2023 dichiarano inammissibile il ricorso della procura e rendono il verdetto definitivo.
La voglia di raccontare
Sorbara può finalmente ricominciare la sua vita da uomo libero e onesto, ma quelle accuse infamanti, le botte in carcere, il tritacarne mediatico, gli hanno lasciato nel corpo e nella mente un segno indelebile. Ai polsi oggi porta numerosi braccialetti per nascondere l'immagine delle manette. Ed è per questo che l'ex consigliere regionale ha deciso di girare l'Italia, andando anche nelle scuole, per raccontare la sua vicenda e chiedere che gli arresti siano effettuati con maggiore criterio: «Prima di togliere la libertà ad un uomo - dice ai nostri microfoni - bisogna pensarci una, due, mille volte, bisogna pensare che dietro a quel nome e cognome c'è una famiglia, c'è una vita, c'è un papà».
La cultura del perdono
Quel che più colpisce della vicenda di Sorbara, è che nelle sue parole non si avverte mai la rabbia di un uomo incarcerato ingiustamente. Anzi, l'ex politico diffonde la cultura del perdono, lo dice nei suoi incontri e lo dice anche ai ragazzi delle scuole, che incontra regolarmente. E, soprattutto, dice loro di continuare a credere nella giustizia, perché l'errore di pochi non deve mettere in discussione l'operato di tanti magistrati scrupolosi e delle forze dell'ordine. «Sì, io credo nella giustizia perché i tre gradi di giudizio hanno detto che Marco Sorbara è una brava persona - dice ancora -. Ho trovato dei giudici, delle forze dell'ordine che hanno letto i miei atti e hanno visto che non c'era nulla e alla fine han detto che Sorbara non era colpevole. Io continuo a dire che la differenza la fanno le persone e ci sono giudici che fanno bene il loro lavoro, ci sono giornalisti che fanno bene il loro lavoro, così come le forze dell'ordine. Oggi vado a parlare ai ragazzi, vado a dire loro di studiare e fare sacrifici, di stare attenti di avere empatia e di rispettare le regole». Perché la sua sofferenza non sia vana.