Concede in donazione il bonus a favore dei malati oncologici, si è iscritto all’università e aiuta la propria famiglia con i fondi che percepisce nell’ambito delle attività previste all’interno dell’istituto penitenziario di Rossano. Lui si chiama Alessandro Manzi, ha 29 anni, balzato agli onori della cronaca nazionale per avere ucciso a fucilate il padre Mario nel 2017. Una storia che ha dell’incredibile e che, tuttavia, conserva dei retroscena complessi e articolati, di cui poco si parla, se non nell’ambito processuale. I giudici della Corte d’Assise di Cosenza, a fronte di una richiesta d’ergastolo, emisero una sentenza di condanna a 18 anni di reclusione, dimezzata successivamente in Appello a 9 anni. Il giovane appena dopo aver compiuto l’atto si costituì ai carabinieri senza tentennare e raccontò tutto. L’accusa è di omicidio volontario.  Attualmente è agli arresti domiciliari, dopo un anno e cinque mesi di cella.  

Una famiglia come altre 

Una famiglia che paga il costo, come tante altre, della ghettizzazione sociale voluta da una sorta di classismo che divide il genere umano per ceti. Da un lato la borghesia, dall’altro il “terzo Stato”. Tanti i fattori concomitanti che generano spesso violenza e aggressioni, tra le cause prevalenti la mancanza di lavoro. Un problema che ha caratterizzato questo dramma e che ha coinvolto tanto il padre (la vittima) quanto il figlio. Mario mette al mondo 4 figli, si andava avanti alla meno peggio. Scarse le fonti di guadagno. Uno dei fratelli di Alessandro è disabile e per lunghi anni, a causa delle condizioni di indigenza, non è stato curato. Il contesto ambientale narra di continui litigi tra padre e figlio che trovano riscontro nelle condizioni di povertà e nell’impossibilità di poter trovare un posto di lavoro.

Il sostegno dell’Associazione “V. Filippelli” al fratellino disabile

Qui subentra l’Associazione di volontariato sociale “Vincenzino Filippelli” che prende in carico la vicenda del disabile, per oltre quattro anni sprovvisto di cure. Alessandro e la mamma, insieme al segretario della struttura associativa Ranieri Filippelli (durante il processo ebbe modo di testimoniare) iniziano i viaggi per le cure e riabilitazione da e per Roma del fratellino più piccolo. Il papà Mario è assente per problemi legati alla quotidianità. Poi, all’improvviso, durante l’ennesima lite, si consuma la tragedia. Durante il regime di detenzione Alessandro decide di studiare, si iscrive alla facoltà di Biologia all’Università di Cosenza e sostiene economicamente la famiglia. E, durante il periodo natalizio, ha espresso la volontà di donare mediante l’associazione “Vincenzino Filippelli” 50 panettoni ai pazienti oncologici. In cella chiedeva, sin dalle prime battute, di stare da solo o con detenuti che hanno voglia di riabilitarsi e riscattarsi come lui.