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Non so se Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, sia colpevole di ciò di cui è accusato, cioè truffa aggravata e concussione, ma so che questo Paese non ne fa una giusta. E non mi fido più. Non mi fido quando accusa e quando assolve, quando condanna e quando perdona. C’è sempre un giudice a Berlino che la pensa diversamente da quello che l’ha preceduto. Questo ci hanno insegnato le cronache giudiziarie italiane, da Enzo Tortora a Clemente Mastella. Dunque non so. Ma ho il sospetto, anzi il timore, che finisca tutto nella solita bolla di sapone. E dico il timore non perché voglia male al sindaco che la rivista Fortune ha inserito nella classifica delle 50 persone più influenti al mondo, facendone un vanto per l’Italia, ma perché se tra un tot di anni ne dovesse uscire pulito, come spero, avremo l’ennesima conferma che siamo alla frutta da un pezzo e abbiamo cominciato a mangiare anche bucce e piccioli.
Lucano è stato elevato a simbolo per il suo approccio al fenomeno dell’immigrazione. Ha preso il suo paesello nella Locride di 1.800 abitanti, spopolato e morente, e l’ha riportato alla vita accogliendo in 20 anni oltre 6mila rifugiati che, attraverso progetti di integrazione vera, hanno rivitalizzato economia e anagrafe. Ovvio che un modello di questo tipo, per quanto interessante e illuminato, sia difficilmente esportabile fuori dall’eccezione territoriale. Altrimenti in un paese di 60 milioni di abitanti, quale l’Italia, dovremmo considerare fattibile l’accoglienza di 150 milioni di profughi in due decenni. Chiaramente irrealizzabile. Eppure il sindaco di Riace ha insegnato che anche l’impossibile è a volte possibile, sebbene questa sua capacità di immaginare e costruire una realtà diversa lo abbia fatto diventare la bandiera dei movimenti antagonisti, poco sensibili a obiezioni di conservazione nazionale. Forse il suo esempio era troppo virtuoso, troppo “giusto”, eccessivamente encomiabile. Perché purtroppo si può peccare anche di perfezione. Le stesse fazioni politiche che prima lo sostenevano o lo additavano, oggi già lo assolvono o lo condannano. Legittimando quell’idea di una giustizia opinabile, che da Craxi in poi ci divide in garantisti e giustizialisti, ruoli assolutamente interscambiabili a seconda delle convenienze.
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Si dice che il suo modello dia fastidio all’enorme business dell’accoglienza e per questo sia stato colpito. Senza considerare che frasi di questo tipo portano con sé un carico enorme di degrado che in altri tempi e in altri luoghi avrebbero decretato la fine di una civiltà. E forse è così. Forse siamo finiti e ancora non ce ne rendiamo conto. Perché se ammettiamo, anche solo per ipotesi, che il sistema che alimentiamo con i nostri consumi e con il nostro voto possa impunemente accusare una persona perbene al fine di favorire gli affari di qualcun altro, allora il fulcro della questione non è più la sorte giuridica di un singolo, ma tutto l’ambaradan. E su questo dovremmo concentrarci, evitando di dividerci in fazioni a seconda delle nostre convinzioni politiche. Lucano non può essere innocente perché la pensa come me, né può essere colpevole per il motivo opposto. Facciamocene una ragione.