Alessandro Nicolò resta in carcere. Il tribunale del Riesame rigetta il ricorso

Nulla da fare per il consigliere regionale tratto in arresto nell'inchiesta sulle infiltrazioni della cosca Libri nei palazzi della politica. I giudici del collegio non hanno accolto i rilievi della difesa. Per la Dda, sarebbe partecipe del clan con un ruolo dinamico e funzionale

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di Consolato Minniti
24 agosto 2019
19:07

Resta in carcere, Alessandro Nicolò. Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha rigettato il ricorso presentato dal consigliere regionale che chiedeva la revoca della misura cautelare o quanto meno la mitigazione della stessa, dopo quanto statuito dal gip nell’ordinanza emessa nell’ambito dell’inchiesta “Libro nero” che ha portato all’arresto di 17 persone ritenute appartenenti o contigue alla cosca Libri, una delle più potenti operanti nel territorio di Reggio Calabria.

A Nicolò viene contestato il reato di associazione mafiosa, in quanto ritenuto espressione politica della consorteria mafiosa. Pesano sul consigliere regionale le numerose intercettazioni dove Nicolò viene dipinto come “cosa nostra” da parte di alcuni appartenenti al clan.


Nella giornata di ieri, Nicolò, difeso dall'avvocato Corrado Politi, aveva affrontato l’udienza al Tribunale del Riesame facendo oltre un’ora di dichiarazioni spontanee e cercando di confutare le tesi accusatorie. I giudici del collegio, tuttavia, hanno ritenuto sussistenti tanto i gravi indizi quanto le esigenze cautelari.

Le accuse della Dda

Partecipe all’associazione mafiosa in cambio di consensi elettorali. Così il gip sintetizza la posizione di Alessandro Nicolò. Secondo il giudice, la messa a disposizione del consigliere avrebbe rafforzato il proposito criminoso della cosca e le sue potenzialità operative. Il suo sarebbe un ruolo dinamico e funzionale, così come emerge tanto dalle conversazioni degli altri affiliati, quanto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Aiello e De Rosa. Secondo il gip, Nicolò è il soggetto scelto dai vertici della cosca Libri per curarne gli interessi in seno agli organi di governo. Un colletto bianco che – ribadisce il giudice – «scende a patti con la mafia ed è tenuto a rispettarli». Anche a dispetto di quanto accaduto in passato, quando quelle stesse persone, secondo alcuni soggetti intercettati, gli uccisero il padre. Episodio sul quale Nicolò, ieri, si è difeso strenuamente garantendo di essersi sempre interessato alle sorti del genitore e cercando la verità sulla sua morte, anche attraverso sistematici incontri con il comandante della stazione carabinieri di Cannavò.

Ora per lui non rimane che sperare nel giudizio della Cassazione sotto il profilo cautelare, per provare ad uscire dal carcere.

 

Giornalista
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