Migranti senza nome al cimitero di Bivona, un fiore per ricordare le tragiche morti in mare

VIDEO | L’iniziativa di Libera per omaggiare le spoglie di 34 migranti e ridare dignità a chi non l’ha trovata neppure nel pietoso gesto della sepoltura. Il monito di monsignor Fiorillo: «Dovremmo avere più cuore e più memoria»

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di Stefano Mandarano
6 gennaio 2019
11:28
Cimitero di Bivona
Cimitero di Bivona

Portare un fiore a chi non ce l’ha. Ridare dignità a chi non l’ha trovata neppure nel pietoso gesto della sepoltura. Una sepoltura sigillata da fredde lapidi di un granito rimasto inesorabilmente bianco. Senza un nome impresso sopra. Sono i loculi anonimi del cimitero di Bivona. Quelli che accolgono le misere spoglie di 34 migranti il cui viaggio verso la terra promessa si è tragicamente interrotto tra le onde del Mediterraneo. Sbarcati, cadaveri, da navi militari o umanitarie nel porto di Vibo Marina prima che il decreto sicurezza, al pari degli altri scali italiani, ne imponesse lo sbarramento. Verso quelle tombe, Libera Vibo Valentia ha mosso i passi di un pellegrinaggio laico contro l’indifferenza e la paura del diverso. In un appello a ritrovare l’umanità perduta raccolto da realtà associative e politiche del territorio (Anpi, Cgil, Sud che sogna, Retake, Focolarini, Vibo sentieri puliti, Condividiamo), da semplici cittadini, da personalità divenute simbolo di lotta. Come le madri coraggio di Francesco Vangeli, il giovane di Filandari vittima di lupara bianca, e Federica Monteleone, 16enne morta di malasanità: Elsa Tavella e Mary Sorrentino.

Il dovere dell’accoglienza

I versi di Erri De Luca e Sergio Guttilla ad onorare il sacrificio dei migranti senza nome; la pregheria universale del Padre nostro a rimarcare la sacralità del momento e ad avvolgere in un ideale abbraccio tutti i profughi del mondo e, in particolare, i 49 “naufraghi” delle navi Sea Wacth da oltre 15 giorni in attesa di un porto accogliente. «Non possiamo restare indifferenti a quanto sta avvenendo - ha detto Peppino Lavorato, già parlamentare e protagonista di innumerevoli lotte per i diritti -: milioni di esseri umani lasciano i loro Paesi per sfuggire a guerre, violenze, pestilenze, fame. Scappano per trovare condizioni di vita migliori e, invece, trovano respingimenti. Noi non possiamo restare indifferenti - ha ribadito - rispetto a queste sofferenze, a questi comportamenti barbari di governi che lasciano ancora in mare bambini e donne che vengono da pene inenarrabili. Dobbiamo mobilitarci se non vogliamo essere corresponsabili di quanto accade e questa iniziativa serve a ricordarci che abbiamo il dovere di essere solidali, accoglienti, e quindi di organizzare la mobilitazione di tutte le forze che sentono questo dovere per sconfiggere gli orientamenti di governi che, come quello italiano e come quelli di tanti Paesi europei, non vengono incontro alle esigenze di tutta questa povera gente».


«Restiamo umani»

Anche monsignor Peppino Fiorillo, già referente di Libera Vibo, ne ha ricordato le afflizioni. «Questi giovani qui sepolti, senza nome senza una storia, ci ricordano tutti quei popoli che camminano. Sono 85 milioni di persone nel mondo che si muovono in cerca di una nuova casa, di un sollievo. Molti di loro - ha ricordato -, non arrivano alla terra promessa: muoiono in mare o nel deserto o nelle carceri libiche non prima di essere torturati, massacrati. Dovremmo avere più cuore e più memoria. Fare pellegrinaggi verso questi luoghi dove sono seppelliti uomini, donne, bambini. Gente che sognava e i cui sogni sono stati infranti da un’onda perversa del mare, dal deserto, dalla cattiveria umana. Abbiamo il dovere di farne memoria perché il nostro è un popolo dalla memoria cortissima quando non incontra questa gente, quando non l’abbraccia, quando non l’accoglie. Restiamo umani».

«Uscire dall'indifferenza»

Per l’attuale referente di Libera Vibo, Giuseppe Borrello, l’imperativo è «uscire dall’indifferenza. Rivolgere il nostro impegno e la nostra attenzione a questi uomini, donne e bambini che hanno perso la loro vita per sfuggire alla barbarie della guerra, alle brutture della povertà. Queste tombe senza nome né fiori, e in certi casi anche senza bara come risulta da un’indagine della Procura, devono diventare un monumento al “milite ignoto” di questa guerra di civiltà. Di questa “Terza guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco, condotta dal sistema politico-economico non solo con l’uso delle armi ma anche con delle leggi ingiuste che generano disuguaglianze, discriminazioni e morte. Nel 2018 sono state oltre 2000, morte in mare, le vittime innocenti di questo sistema perverso che genera guerre e sfruttamento di risorse e persone, e che ne costringe a milioni a fuggire dalle loro case e dai loro affetti».

 

Giornalista
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