«Denis Bergamini è stato ucciso perché le partite erano truccate e lui voleva stare fuori dal giro del calcioscommesse. Ma se volete che vi dica di più dovete aiutarmi, il procuratore Gratteri deve proteggermi e darmi delle garanzie, io rischio la vita. Se Gratteri mi dà delle garanzie, io vengo a Cosenza e dico tutto». Di Pietro Pugliese si sa che ha avuto almeno quattro vite. Già capoultrà del Napoli calcio, esponente della camorra, in seguito collaboratore di giustizia e, dulcis in fundo, buon amico di Diego Armando Maradona: era tra gli invitati al suo matrimonio, ma diventerà il suo grande accusatore. Il settantenne arcinoto alle cronache è intervenuto oggi come testimone al processo sul presunto omicidio di Donato Bergamini (18 novembre 1989), vicenda che vede sotto accusa la sua fidanzata dell’epoca, Isabella Internò.

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Con lui si è tornati a battere la pista del calcio scommesse. Che fosse questo il movente dell’uccisione del calciatore del Cosenza, l’ex guardia giurata sostiene di averlo appreso sia in carcere da un certo «Abbruzzese» che nell’ambiente dei calciatori partenopei alla fine degli anni Novanta. Era stato già sentito in fase d’indagini, nel 2018, e il suo interrogatorio si era rivelato decisamente tortuoso.

A quel tempo, infatti, Pugliese riuscì a fare solo pochi accenni al caso Bergamini, spostando in modo ripetuto l’argomento sui fatti più o meno torbidi della sua squadra del cuore: lo scudetto «venduto” al Milan nel 1988, la droga che scorreva a fiumi nello spogliatoio azzurro e poi l’import-export di cocaina sulla rotta Buenos Aires-Napoli per cui chiamava in causa El Pibe de Oro e il suo manager dell’epoca.

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Vicenda, quest’ultima, che nel 1991 è stata anche oggetto di un processo conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati.

La sua deposizione in aula ha seguito in buona parte lo stesso copione. Tra una divagazione e l’altra, il testimone ha affermato di «aver paura» per la propria incolumità e ha chiesto «garanzie» alla Corte. «Non possiamo offrirle alcuna garanzia, lei deve dirci ciò che sa» è stata la risposta del presidente Paola Lucente. «Una testimonianza fantasiosa e grottesca. Peccato - ha dichiarato l'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Bergamini - si sia sottratto alle nostre domande, altrimenti avrei chiesto chi è stato il mandante dell'omicidio di John Fitzgerald Kennedy. La sua credibilità è nulla». Continua a leggere su Cosenza Channel.