«Nel 2023 le navi di soccorso delle ong sono state costrette a percorrere oltre 150.500 km in più per raggiungere porti lontani, ovvero tre volte e mezzo il giro del mondo: sono stati almeno 374 giorni di navigazione non necessari, considerando la possibilità di sbarco nei porti più vicini disponibili in Sicilia e a Lampedusa, trascorsi lontano dall’area di ricerca e soccorso, dove la vita delle persone è a rischio». Lo affermano in una nota congiunta le ong impegnate nel Mediterraneo, a un anno dalla strage al largo della calabrese Cutro, dove nella notte tra il 25 e il 26 febbraio di un anno fa, un’imbarcazione di legno venne travolta dalle onde e distrutta a pochi metri dalla costa. A bordo c’erano 180 persone; avevano preso il mare da Cesme, in Turchia, ma il loro viaggio iniziava da più lontano: Iran, Afghanistan, Pakistan, Siria.

Nell’ultimo anno le ong di ricerca e soccorso hanno ripetutamente denunciato «il rischio di un aumento delle morti nel Mediterraneo centrale a seguito dell’attuazione di una nuova serie di norme da parte delle autorità italiane che mirano specificamente a ostacolare le attività di ricerca e soccorso in mare. Con oltre 2.500 uomini, donne e bambini morti o dispersi lungo questa rotta migratoria nel 2023, l’anno più letale dal 2017, e almeno 155 morti già quest’anno - sottolineano - tutte le attività di soccorso sono urgentemente necessarie». E l'anniversario della strage di Cutro serve proprio come «monito di questa tragica realtà».

Tra le varie norme, è previsto che le navi di soccorso delle ong debbano dirigersi immediatamente verso un porto dopo un soccorso costringendole a ignorare le altre imbarcazioni in pericolo nella zona. «Ciò - dicono le ong - contraddice direttamente il dovere del comandante di soccorrere le persone in difficoltà in mare, come stabilito dal diritto marittimo internazionale». Le Ong che disobbediscono alle norme italiane rischiano una multa fino a 10.000 euro e la possibilità che la loro nave venga bloccata per almeno 20 giorni e potenzialmente sequestrata dalle autorità. «In molti casi - denunciano le organizzazioni firmatarie - dobbiamo scegliere tra rispettare la normativa italiana pur sapendo che potremmo abbandonare delle persone che rischiano di annegare, oppure adempiere al nostro dovere giuridico di effettuare i soccorsi, affrontando perciò multe, fermi amministrativi e la possibile confisca delle nostre navi. La detenzione delle navi di soccorso non fa che aumentare il vuoto nel Mediterraneo centrale e i pericoli per le persone che tentano la traversata in mare».

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Dal febbraio 2023 nove navi di soccorso delle ong sono state trattenute dalle autorità italiane in 16 occasioni, per un totale di oltre 300 giorni di assenza in mare e di impossibilità di assistere le persone in difficoltà. Inoltre «è prevalsa la prassi di assegnare alla navi porti lontani nel nord Italia, fino a 1.600 km e cinque giorni di navigazione dal luogo di soccorso. Ancora una volta - ribadiscono le ong -  questa pratica viola il diritto marittimo internazionale, che richiede che le persone siano sbarcate in un luogo sicuro 'non appena sia ragionevolmente possibile' e questa pratica causa anche ritardi ingiustificati per le persone soccorse che devono accedere ai servizi di assistenza medica e di protezione sulla terraferma».

Le ong accusano l'Italia di sostenere, insieme a Malta e al resto dell'Ue, la guardia costiera libica, che «continua a compiere intercettazioni illegali e respingimenti forzati in Libia. Lo sfruttamento e la violenza su larga scala - concludono - di cui sono vittime le persone in movimento in Libia sono stati ampiamente documentati e secondo le Nazioni Unite potrebbero costituire 'crimini contro l’umanità'. Cooperando con la Libia per favorire le intercettazioni in mare, l’Italia e l’Ue si rendono complici di ulteriori abusi contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati».

Medici senza frontiere: «Dopo Cutro nessuna iniziativa per prevenire tragedie»

In sostegno alle ong anche le parole di Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici senza frontiere in Italia: «Dopo il tragico naufragio di Cutro e la spaventosa media di 7 vite spezzate ogni giorno nel disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale, ci saremmo aspettati che i governi nazionali e le istituzioni europee mettessero al centro delle loro priorità questo tema. Eppure, al di là della retorica vuota e scomposta del giorno successivo, una risposta istituzionale seria semplicemente non è arrivata».

«Le autorità italiane - osserva Bertotto - non hanno assunto una sola iniziativa concreta per prevenire altre tragedie: nessuna azione per rafforzare il soccorso in mare, che anzi è stato indebolito con la criminalizzazione del ruolo della società civile; nessuna iniziativa specifica, salvo la cieca prosecuzione di quelle politiche di deterrenza che continuano a impedire modalità di accesso legale e sicuro. A partire dal primo decreto-legge del 2023 - prosegue l'esponente di Msf - il governo italiano ha messo in atto misure sempre più rigide per ridurre la capacità delle ong attive nel Mediterraneo di essere presenti in mare e di effettuare soccorsi. Mentre alle ong viene imposto di ignorare richieste d'aiuto, di effettuare salvataggi multipli e di dirigersi verso porti di sbarco sempre più lontani, le persone continuano a morire».