Sabato 22 aprile, ore 12.45, piazza Stella Maris, Tortora. Una piccola folla di persone si alza in piedi e applaude, mentre qualcuno, in preda alla commozione, comincia a singhiozzare. Ha appena parlato Erminia Limongi, una donna che fino a due mesi e mezzo fa non aveva mai parlato in pubblico e mai avrebbe immaginato di doverlo fare.

La donna è la madre di Francesco Prisco, lo sfortunato 30enne morto dopo dieci giorni di agonia all'ospedale Annunziata di Cosenza per le conseguenze delle ferite da arma da fuoco. Per il suo omicidio, maturato nell'ambito dello spaccio di droga, risultano attualmente indagate tre persone, che nella notte del 17 febbraio scorso, lo avrebbero raggiunto sotto casa e uno di loro gli avrebbe sparato con un fucile caricato a pallettoni. Si tratta di un'arma che spesso usano i cacciatori per abbattere i cinghiali. Francesco è stato attinto da diversi colpi, alla coscia, al pube, all'anca, al braccio e persino ai polmoni. Prima di andare in coma, dal quale non si è più risvegliato, ha raccontato tutto ai carabinieri giunti sul posto.

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La sua denuncia avrebbe trovato riscontro nelle immagini delle telecamere di sorveglianza sparse sul territorio e poche settimane più tardi sono finite in carcere tre persone, sebbene siano da considerarsi innocenti fino a condanna definitiva. Ieri la madre di Francesco Prisco è scesa in piazza e nel corso di un dibattito sulla legalità, organizzato dall'avvocato Angela Lacava del foro di Paola, ha raccontato la storia di suo figlio e della trappola nella quale era caduto: la tossicodipendenza. Lo ha fatto perché non accada mai più, perché nessun altro provi il suo stesso dolore.

Il discorso

Al dibattito, moderato da Norina Scorza, legale di famiglia, hanno preso parte anche altri avvocati, sindaci e amministratori del posto, il prete e teologo don Giovanni Mazzillo e molti altri esponenti istituzionali.  In ultimo, ha preso la parola Erminia Limongi, che, visibilmente emozionata, ha detto poche parole, ma profonde al punto di toccare gli animi dei presenti. «Mi rivolgo ai genitori. Quando i figli entrano in questa trappola, ci danno dei segnali. A volte non li capiamo subito o non li vogliamo capire, però quando un figlio non guarda più un genitore negli occhi, è un figlio che chiede aiuto. Ma se un genitore ama un figlio deve aiutarlo in tutti modi e mettersi anche contro gli altri. Io ho fatto di tutto per mio figlio, lo amavo alla follia, ho lottato con le unghie e con i denti.

Non sono una mamma coraggiosa, sono solo una mamma che ha perso un figlio di 30 anni. Ascoltando tutti, mi è venuta in mente una cosa: mio figlio mi ha ascoltato anche quando gli dicevo che quelle persone che gli davano quella sostanza non erano suoi amici, ma oramai era caduto in questa trappola. Oggi posso dire che prima di morire mio figlio ha fatto i nomi, lui si che è stato coraggioso. È un ragazzo che andando via si è portato metà della sua mamma e ha lasciato metà di sé in me». Subito dopo, intervistata dal LaC News24, ha detto: «Se potessi parlargli vorrei dirgli grazie per avermi scelta come sua madre».

L'amore per la madre e quell'ultima notte insieme

Quella tra Francesco Prisco e sua madre è un'autentica storia d'amore. I due vivono da soli in un piccolo appartamento a Tortora, che è tutto il loro mondo. Lui è un ragazzo bellissimo, con uno sguardo magnetico e due occhi celesti come il mare, che fa strage di cuori. Ha anche tanti amici, che lo adorano e lo vedono come un dio. Per mantenersi fa tanti lavori, tra cui quello di addetto alla sicurezza nei locali del posto. La vita non è stata troppo generosa con lui, ma a un certo punto sembra aver trovato un equilibrio. Dura poco. Francesco comincia ad assumere cocaina ed entra in un tunnel senza uscita. Quel vizio diventa ben presto una dipendenza, che a volte lo trasforma in un'altra persona. Erminia sprofonda nell'angoscia, ma anziché nascondere il problema sotto al tappeto, lo affronta di petto.

Gli dice che quelli che gli vendono la "roba" non sono amici, come dicono di essere, e che lei è disposta ad arrivare sulla luna pur di vederlo rinascere. Francesco si convince che ha bisogno di aiuto ed in piena pandemia entra in una comunità di recupero. Due mesi dopo è fuori, quella dipendenza è più forte di lui. Tornato a Tortora, rientra nel "giro". Mamma Erminia va a denunciarlo, non ha altra scelta. Un giudice stabilisce che il figlio non può tornare a casa e va a vivere a casa di un amico. Ma un paio di settimane più tardi, Francesco si presenta sotto casa e citofona: «Mamma - le dice quando la vede alla porta - lo sai che io non riesco a mangiare a casa di un altro». Il ragazzo è deperito e triste, alla donna le si scioglie il cuore, lo stringe tra le sue braccia e corre a ritirare la denuncia. Ma le cose nemmeno stavolta vanno per il verso giusto. Un anno e mezzo fa l'auto del giovane va a fuoco, a gennaio scorso ignoti sparano contro la porta di casa.

Erminia si presenta di nuovo in caserma, la magistratura lavora per salvarlo, ma è troppo lenta. La notte del 17 febbraio il giovane ha una discussione con alcuni "amici", poi torna a casa, prepara il suo piatto preferito e dà la buonanotte alla madre. Sarà il loro ultimo saluto. Una manciata di minuti più tardi, qualcuno lo chiamerà al cellulare, facendolo scendere in strada. In quegli stessi frangenti, arriverà a tutta velocità un'auto dalla quale saranno esplosi i colpi mortali. Francesco se ne per sempre va dieci giorni dopo, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di sua madre e nei cuori di coloro che l'hanno conosciuto.