Su quanto accaduto dinanzi alla sede dell’Arma dopo l’arresto di Rosario Pugliese intervengono solo il ministro dell’Interno e il presidente dell’Antimafia Morra. Ecco i legami di “Saro Cassarola” e Orazio Lo Bianco con politici e professionisti vibonesi
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Travalica gli stretti confini provinciali e fa il giro d’Italia la notizia su quanto accaduto ieri dinanzi al comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia a seguito dell’arresto di Rosario Pugliese, 54 anni, alias “Saro Cassarola”, latitante dal 19 dicembre dello scorso anno.
Almeno quaranta persone, fra familiari ed amici, si sono infatti radunate dinanzi alla sede dell’Arma e – una volta portato fuori il latitante per essere caricato in auto e scortato sino in carcere – si sono lasciate andare in un lungo applauso ed a frasi di incoraggiamento all’indirizzo di Rosario Pugliese.
Un fatto grave, come sottolineato dal procuratore Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa che, unitamente ai carabinieri, ha tenuto a sottolineare quanto la latitanza sia spesso anche “un’esternazione del potere mafioso, ulteriore forma di arroganza e dimostrazione della pericolosità, della mafiosità e dell’ardire di queste persone”.
Ad applaudire, invece, all’operato dei carabinieri è prontamente intervenuto il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra: «Io applaudo i carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia per l’arresto del latitante Rosario Pugliese. Che i familiari radunati fuori abbiano fatto un lungo applauso al loro familiare che finisce in carcere perchè ‘ndranghetista ci fa solo capire che c’è tanto lavoro ancora da fare. Ma è necessario che gli onesti, chi vuole cambiare la Calabria, abbia il coraggio di applaudire in strada all’aperto. Dobbiamo togliere terreno e consenso ai criminali riprendendoci anche gli spazi pubblici, dimostrando il nostro appoggio e sostegno alle donne e agli uomini delle forze dell’ordine».
Sull’arresto di Rosario Pugliese è intervenuto anche il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese: «Ringrazio la magistratura e tutte le forze di polizia per i risultati conseguiti che rafforzano la presenza dello Stato a Vibo Valentia, sottraendo spazi di controllo ai sodalizi criminali e contrastando i loro traffici illeciti ed i tentativi di consolidare il consenso sociale e condizionare l’economia legale. Prosegue senza sosta l’attività della magistratura e delle forze di polizia contro le organizzazioni criminali che operano in Calabria ed è stato arrestato un latitante importante: il capo di un clan locale di Vibo Valentia sfuggito alla cattura nel 2019, individuato grazie ad un’operazione dell'Arma dei Carabinieri, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro».
Il silenzio della politica locale
Nessun comunicato di plauso per la cattura di Rosario Pugliese è invece giunto da parte della politica locale. Silenzio assordante da parte di tutti i partiti e dagli esponenti politici cittadini: consiglieri comunali ed assessori, sindaco, senatori, deputati, consiglieri regionali e provinciali. «È necessario che gli onesti, chi vuole cambiare la Calabria, abbia il coraggio di applaudire in strada all’aperto. Dobbiamo togliere consenso ai criminali riprendendoci anche gli spazi pubblici» ha dichiarato infatti, non a caso, il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra.
Il silenzio assordante della politica locale sull’arresto di Rosario Pugliese appare però significativo alla luce di quanto emerge proprio dall’inchiesta Rinascita-Scott che, non a caso, ha dedicato un intero capitolo all’infiltrazione del clan Lo Bianco (di cui faceva parte anche Rosario Pugliese prima di costituire un’autonoma ‘ndrina) nella vita politico-amministrativa del Comune di Vibo.
Quale più fidato “braccio-destro” di Rosario Pugliese viene infatti indicato il 46enne Orazio Lo Bianco rinviato a giudizio, fra le altre contestazioni, anche per scambio elettorale politico-mafioso sia con il fratello Alfredo Lo Bianco - eletto per la prima volta in Consiglio comunale nel 2015 in una lista a sostegno del candidato a sindaco Elio Costa, e quindi rieletto nel maggio 2019 sostenendo a primo cittadino Stefano Luciano e passando anche lui nel Pd (sino alla sospensione dal partito dopo l’arresto) - sia con l’ex assessore comunale all’Ambiente (nella giunta guidata dal sindaco Elio Costa) Vincenzo De Filippis (pure lui rinviato a giudizio). In tale ultimo caso, il reato sarebbe stato commesso in occasione delle elezioni Politiche del 4 marzo 2018 quando Vincenzo De Filippis era candidato con la lista “Civica popolare” di Beatrice Lorenzin, alleata del Partito democratico.
Restando in tema di silenzio “assordante” della politica locale per l’arresto di Rosario Pugliese – a fronte dell’applauso tributatogli da familiari e amici dopo l’arresto – va infine ricordato che Rosario Pugliese è pure indagato a piede libero nell’operazione antimafia “Imponimento” del luglio scorso dove gli viene contestato il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con: Francescantonio Tedesco (architetto ed ex consigliere comunale di Vibo accusato di aver contribuito a determinare “la strategia politica del clan Anello” in occasione delle elezioni politiche del 2018 dirottando i voti sul senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori), Giovanni Anello (ex assessore ai lavori pubblici del Comune di Polia), il boss di Filadelfia Rocco Anello, l’ex sindaco di San Gregorio d’Ippona Filippo Ruggiero, Giuseppe Fortuna e Giuseppe Barbieri (gli ultimi due coinvolti anche nell’inchiesta Rinascita e ritenuti organici al clan Bonavota di Sant’Onofrio). Francescantonio Tedesco era il direttore dei lavori prescelto dall’avvocato ed imprenditore Vincenzo Renda (coinvolto in Rinascita-Scott in quanto ritenuto vicino al clan Mancuso) per la realizzazione di un villaggio-residence in località Galìa del comune di Pizzo. Tutti gli indagati sono accusati di aver costretto Renda ad avvalersi delle imprese da loro imposte ed a beneficio del boss Rocco Anello. Rosario Pugliese, secondo l’accusa, avrebbe presentato il direttore dei lavori Francescantonio Tedesco (per il quale il Riesame ha annullato il capo d’imputazione relativo alla concorrenza illecita aggravata dal metodo mafioso) a Rocco Anello, mettendo poi in contatto la parte offesa Vincenzo Renda con Rocco Anello per le prime ‘imbasciate’ estorsive.