Il dirigente della Dda reggina nel corso di un evento pubblico a Monasterace, suo paese d'origine. «Chi non sta dalla nostra parte, sta dalla parte sbagliata» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«I fenomeni criminali in Calabria sono raccontati poco e male». È un duro j’accuse quello che il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha lanciato da Monasterace, a margine della cerimonia di inaugurazione del centro di aggregazione giovanile intitolato alla memoria del padre, il magistrato Rocco Lombardo.
«Troppe persone raccontano, spiegano, insegnano quello che non conoscono – ha detto Lombardo, facendo sua una riflessione del matematico inglese Stephen Hawking – E questo in Calabria lo si paga moltissimo. Spesso il racconto che si fa di questa regione è distante dalla verità dei fatti. Quando mio padre 30 anni fa era stato minacciato per l’ennesima volta, in un’intervista rilasciata a Repubblica diceva: “È il crescendo mafioso eversivo a cui bisogna prestare molta attenzione. Qui le cosche stanno cercando di scardinare la democrazia, di intimidire rappresentanti delle istituzioni democratiche, per costringerli a non fare il proprio dovere, per diventare quindi loro, le cosche, lo Stato”. Questa è la Calabria che fa notizia. E se oggi queste frasi sono ancora attuali, in qualcosa abbiamo sbagliato».
Secondo il pm reggino «In Calabria c’è un grande problema, e questo problema è la ‘ndrangheta. Come mai in Sicilia le aule di udienza sono piene di persone che ascoltano e in Calabria tra il pubblico non c’è nessuno, in una città importante come Reggio Calabria, riconosciuta capitale mondiale della ‘ndrangheta? Quando ci sono state manifestazioni di sostegno a chi cerca di capire perché viviamo in questa condizione, su oltre 300 partecipanti davanti al tribunale di Reggio c’erano solo 7 calabresi, con oltre 200 persone che venivano dal centro nord. Usciamo dall’ambiguità – è il monito di Lombardo – abbandoniamo l’ipocrisia e decidiamo da che parte stare, non perché c’è uno Stato che detta le norme, ma perchè c’è un diritto naturale che impone di comportarsi in maniera giusta eguale, corretta, rispettosa, non della legge, ma dell’uomo».
Quindi un ricordo di papà Rocco, per anni alla guida della Procura di Locri. «Mio padre, dopo aver finito il corso di studi in Giurisprudenza si iscrisse in Filosofia, e gli chiesi perché. Mi disse: “È la testa che conta, non la norma”. Perché è la testa che applica la norma, che può essere scritta bene o male, e ultimamente sono scritte molto male, perché è impossibile disciplinare tutte le variabili che la nostra vita ogni giorno ci mette davanti. La norma deve tornare ad essere quello che è. Il giuspositivismo, se lo vogliamo ancora utilizzare fino in fondo, deve tornare ad essere quello che raccontava Norberto Bobbio, non un eccesso di normazione che con la sua eccessiva mutevolezza tipica italiana. Dobbiamo trovare tutti la capacità di tornare al concetto di giusto, razionale, concreto».
Infine un appello alla società civile: «Non guardate alla magistratura come un nemico – ha concluso Lombardo – Noi demoliamo per consentire la ricostruzione, e quella ricostruzione deve essere garantita da altri. È questo il concetto di Stato in cui tutti noi ci dobbiamo riconoscere. Chi non sta dalla nostra parte, sta dalla parte sbagliata. La città metropolitana di Reggio è un territorio meraviglioso, dove sono i calabresi onesti capaci di realizzare il proprio futuro? Quando avrò la possibilità di vederli otterrò anche la certezza che mi manca, e cioè che la ‘ndrangheta e le altre mafie saranno un ricordo ormai lontano».