Nemmeno il ricorso al Tribunale amministrativo della Calabria è riuscito a far riottenere ad un agente di polizia municipale del Comune di Lamezia Terme il reintegro nelle sue funzioni dopo che nel giugno del 2013 il Prefetto di Catanzaro aveva deciso di revocargli la qualifica di agente di pubblica sicurezza.

 

I fatti

Il provvedimento prefettizio era stato, infatti, emanato a seguito di un’ampia relazione stilata dal Comune di Lamezia sulla base di un rapporto dei carabinieri intervenuti la sera del 29 marzo del 2013 in casa dell’agente per sedare una lite familiare. Secondo la ricostruzione compiuta dai militari della stazione di Lamezia Terme, l’uomo sarebbe rientrato nella sua abitazione in stato di alterazione dovuto all’assunzione di bevande alcoliche e sarebbe scattato un litigio con il figlio. All’arrivo dei carabinieri sul pavimento fu rinvenuta la pistola d’ordinanza e macchie di sangue causate dalla colluttazione e dal ferimento.

 !banner!

Versioni divergenti

L’agente della municipale nell’impugnare il provvedimento prefettizio aveva infatti sostenuto la tesi dell’errata ricostruzione dei fatti da parte dei carabinieri. La caduta dell’arma di ordinanza non era stata dovuta a una colluttazione tra l’uomo e il figlio ma a un malinteso. Il primo avrebbe avuto intenzione solo di riporre l’arma. Il secondo avrebbe male interpretato tale comportamento e, temendo un gesto inconsulto da parte del padre, lo avrebbe afferrato alle spalle determinando la caduta della pistola e il ferimento al naso. Diversa la versione fornita dai militari secondo cui i toni esacerbati della lite avevano allarmato due carabinieri che risiedono nello stesso stabile inducendoli a intervenire allertando i colleghi e nel frattempo mettendo in sicurezza l’arma.

 

La pronuncia

La versione dell’agente di polizia municipale non ha però convinto i giudici amministrativi che con la sentenza pronunciata oggi dalla prima sezione hanno confermato la validità delle valutazioni prefettizie. “La gravità dei fatti evidenziati inducono a ritenere che l’interessato non offra più le rigorose garanzie di affidabilità sul corretto uso delle armi, ingenerando il ragionevole dubbio sul loro possibile abuso”.

 

Luana Costa