Reati in diminuzione, una ‘ndrangheta che condiziona il vivere quotidiano, la mancanza di un palazzo di giustizia e le scoperture d’organico che aggravano di parecchio il carico di lavoro dei giudici.

È una relazione particolarmente complessa quella che il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Luciano Gerardis, ha vergato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Decine di pagine in cui si analizza non solo il freddo dato numerico, ma si abbozza anche un ragionamento più marcatamente sociale. Perché la Giustizia non può essere completamente scissa dal territorio in cui opera.

Il palazzo che non vede la luce

Ed allora in apertura, il presidente Gerardis si dedica immediatamente alla mancanza, ancora oggi, di un palazzo di Giustizia che possa ospitare le cerimonie come quella di oggi. È rammaricato il presidente, poiché lo scorso anno aveva annunciato la probabile fine dei lavori dell’auditorium e oggi deve prendere atto che, invece, i tempi si stanno allungando oltre le peggiori previsioni. Il suo ragionamento è chiaro: il Ministero ha precisi limiti dettati dalle altre amministrazioni che hanno competenza in materia. Il riferimento è a quella comunale reggina che sconta ancora oggi i problemi con l’impresa costruttrice che minaccia di fermare definitivamente i lavori.

Il comportamento dei magistrati

Ma il presidente vira abilmente discorso e si rivolge ai suoi colleghi giudici: «Rendere trasparente il nostro agire, dando sempre conto delle sue modalità e spiegando anche le ragioni delle eventuali difficoltà che si incontrano nella giurisdizione, significa esercitare più correttamente il potere che la Costituzione ci affida. Inscindibile, infatti, deve essere il binomio potere-responsabilità. Chiunque eserciti un pubblico potere deve rispondere del proprio operato; tanto più la magistratura, chiamata a pronunciare “in nome del popolo italiano”. Questo non può significare cercare consensi alle proprie decisioni, che invece devono restare affidate al foro interiore ed alla competenza (“scienza e coscienza”) dei singoli magistrati.

Reati in calo

Ed un primo dato balza all’occhio: i reati sono in diminuzione. «Secondo dati relativi all’intero distretto, raccolti dalla Prefettura per gli anni 2016 e 2017, diminuiscono di oltre il 10% i reati; ed il trend sembra generalmente consolidarsi nei primi mesi del 2018. Diminuiscono i reati più efferati contro la persona, omicidi e tentati omicidi in primis. Diminuiscono quasi tutti i reati contro il patrimonio (rapine, ricettazione, usura, danneggiamenti), mentre restano sostanzialmente invariate le estorsioni. Aumentano invece le violenze sessuali, ma questo potrebbe essere l’effetto non già di una loro più frequente verificazione quanto di un’accresciuta disponibilità alla denunzia di episodi che, svolgendosi spesso in contesti familiari, sono rimasti per troppo tempo coperti.

Giù anche gli sbarchi

«Diminuiscono nettamente anche fenomeni, come gli sbarchi di migranti, che pure nel nostro territorio non hanno mai costituito un problema di ordine pubblico; tutt’altro. Reggio Calabria  - spiega Gerardis – generalmente ha anzi offerto per la prima accoglienza, in assoluta consonanza con le proprie radici storiche e culturali, un esempio mirabile di solidarietà attraverso armoniche sinergie tra istituzioni ed associazioni laiche e religiose di volontariato. Malgrado ciò, sembra sempre più angosciosa la percezione di un’illegalità diffusa e dell’iniquità di un sistema ormai marcio e corrotto fin nel midollo, che mortifica i meriti in favore di logiche clientelari e di appartenenza. Certo, sull’effetto potrebbe influire un’informazione non sempre completa e corretta se non talvolta strumentale ed asservita ad interessi di parte. Ma essa non sarebbe da sola sufficiente a giustificare preoccupazioni che trovano invece ragioni oggettive nelle distorsioni presenti nella nostra società».

La deformazione della subcultura mafiosa

Sul capitolo ‘ndrangheta, Gerardis si sofferma maggiormente sull’aspetto sociale: «Quello che è purtroppo sempre più evidente è quanto essa finisca per condizionare la nostra quotidiana esistenza. Malgrado siano ridotti al lumicino i fatti di sangue, rimbombano ancora nella testa e  nelle orecchie dei reggini le lugubri esplosioni notturne con cui si danneggiano esercizi commerciali ed autovetture; e gli occhi e i cuori continuano ad essere feriti dai bagliori di inquietanti incendi. Sempre più nefaste risultano poi le influenze sul piano economico, sociale e culturale. I procedimenti patrimoniali di prevenzione dimostrano l’incidenza sul tessuto economico del territorio metropolitano: non per caso la sezione di prevenzione del tribunale distrettuale si colloca in Italia al terzo posto per il valore dei beni sequestrati o confiscati, che sfiora ormai i 3 miliardi di euro».

 

Secondo il presidente della Corte d’Appello, dunque, preoccupano le «distorsioni che il mercato subisce quando vi opera un’impresa mafiosa o comunque in odore di mafia, che finisce per azzerare la concorrenza attraverso meccanismi intimidatori, estorsivi o ritorsivi, approfittando talvolta di un accesso privilegiato al credito, ed usufruendo degli illeciti risparmi derivanti dall’utilizzazione “in nero” di manodopera. L’impresa sana, per contro, è costretta a fare i conti con i ben maggiori costi di finanziamento ed esercizio, nel rispetto della normativa vigente, ed a superare talvolta le difficoltà conseguenti ad azioni di danneggiamento di immobili e beni strumentali, miranti a strozzarne l’attività».

 

Ecco allora che si verifica una vera e propria deformazione dell’immagine di un popolo e della sua stessa cultura. Un popolo che, per Gerardis, «ha grandi responsabilità nel non aver saputo fare argine al fenomeno ‘ndranghetista, di cui però rimane pur sempre, nella stragrande maggioranza, una vittima. La rassegnazione, il fatalismo, l’abdicazione ad un ruolo attivo da artefici della propria storia sono colpe gravissime che hanno consentito l’espandersi di un cancro maligno ed aggressivo. È però innegabile che la ‘ndrangheta abbia nel tempo alterato la mentalità comune. È però innegabile che la ‘ndrangheta abbia nel tempo alterato la mentalità comune. Cos’altro è l’identificazione del diritto col favore, la ricerca di scorciatoie nell’affermazione dei diritti, l’abitudine a rivolgersi all’”amico” anche nell’ordinario disbrigo di pubbliche pratiche se non l’effetto di una nefanda contaminazione del modo di pensare collettivo da parte di una subcultura mafiosa?». Il riferimento si fa più esplicito, quando si tratta dei procedimenti in corso che trattano persino di « commistioni tra ‘ndrangheta e pezzi di politica, istituzioni, mondo professionale ed imprenditoriale, con comitati di affari che finirebbero per distorcere qualsiasi sbocco occupazionale o pubblico finanziamento ad illeciti fini di consorteria. Inquieta la sola prospettazione di grumi di potere oscuro, sommerso e trasversale che possano inquinare le pubbliche istituzioni attraverso la ricerca di consensi con metodi e finalità che deformano lo stesso funzionamento della democrazia. Cosa rimarrebbe infatti della democrazia in un sistema che cercasse così l’accaparramento di voti?».

Le scoperture d’organico

I dati sciorinati dal presidente Gerardis danno la dimensione di un distretto – quello reggino – ancora oggi fortemente in difficoltà con gli organici. Dalla sezione gip-gup sino alla pendenza di 275 procedimenti di competenza della Dda, di cui 88 con più di 10 imputati. «Come considerare normale che i magistrati che si stanno occupando in sede dibattimentale a Reggio del processo c.d. “Gotha”, in cui sono confluiti altri 5 filoni d’indagine e devono essere sentiti oltre 400 testimoni e valutate circa 10.000 intercettazioni; gli altri che si stanno occupando del procedimento a carico dell’ex parlamentare Claudio Scajola, ove sono stati già sentiti oltre 300 testimoni; gli altri ancora, dinanzi a cui pende a Locri un procedimento con 171 imputati, siano tutti contemporaneamente impegnati nella trattazione di tanti altri procedimenti, ed assommino udienze su udienze, talvolta anche cinque per ciascuno nella stessa settimana? Rientra nell’ordinario che 14 magistrati in pianta, ridotti di fatto a 11, in Corte di Appello debbano trattare 107 procedimenti di criminalità organizzata ed oltre 6.000 giudizi d’impugnazione, con 510 imputati detenuti? E che dire del settore civile, costretto generalmente a sopportare il maggior numero di scoperture.(circa il 40% al Tribunale di Reggio Calabria, e percentuali non di molto inferiori ai Tribunali di Palmi e di Locri), malgrado la necessità di aggredire un arretrato pesante, spesso gravosissimo per gli utenti, che produce anche danni allo Stato per i risarcimenti previsti dalla legge n. 89 del 2001 (cosiddetta legge Pinto)?», continua a chiedersi il presidente. I numeri si fanno impietosi: mancano al momento in primo grado nei soli Tribunali ordinari 24 unità su un organico di 119, pari ad una scopertura di circa il 20% che diventa quasi 30% considerando le assenze per maternità.

 

«A loro volta, il Tribunale di Sorveglianza e quello per i minorenni sono davvero ridotti all’osso». Ed allora l’interrogativo diventa quasi scontato: «Perché, a parità di condizioni, un magistrato dovrebbe optare per un distretto dove è costretto a lavorare anche con carichi estremi, assumendosi ben maggiori responsabilità, senza poter mai aspirare, come altri colleghi di tante altre sedi, ad una vita più ordinata e serena e con maggior tempo da dedicare alla propria sfera privata? Se il contrasto della ‘ndrangheta è prioritario problema nazionale secondo quanto costantemente affermato da tutti gli organi centrali, anche costituzionali, e se questo distretto ne è non solo il luogo storico d’origine ma anche il luogo in cui si concentra il suo attuale unitario comando, non è possibile non trarne ancora tutte le conseguenze. La resa di giustizia ha bisogno di risorse adeguate; e l’adeguatezza è rapportabile alle esigenze. Se le esigenze sono straordinarie, straordinarie devono essere le risorse. Nel distretto di Reggio Calabria la straordinarietà delle esigenze costituisce l’ordinario».

I dati positivi

Ma ci sono anche delle percentuali che sono in netto miglioramento. «La Corte di Appello, in ambito penale, registra una secca diminuzione delle pendenze per entrambe le sezioni dibattimentali: la prima passa da 1878 al 1.7.2017 a 1598 al 30.6.2018, avendo definito rispetto agli 685 processi sopravvenuti 965 con 1353 imputati, tra cui 33 di criminalità organizzata e 67 con detenuti; analogamente la seconda sezione riduce il carico da 2.873 a 2.675 procedimenti, avendone definito 890, con 1249 imputati, tra cui 42 di criminalità organizzata e 86 con detenuti.La Corte di Assise di Appello, a sua volta, avendo definito 27 giudizi a fronte di 19 sopravvenienze, porta l’attuale pendenza dai precedenti 33 procedimenti a 25. Per lo più, si tratta di vicende omicidiarie inserite in contesti di criminalità organizzata, che rendono i procedimenti complessi e di notevole rilevanza sociale.

Il tribunale di Reggio Calabria subisce un incremento dei procedimenti dibattimentali, passati per il rito collegiale a 312 – di cui 36 di competenza della DDA e 15 maxi-procedimenti - dai 283 dell’anno precedente e per il rito monocratico a 8046 da 7434, cosicché la pendenza complessiva è di 8.393. L’incremento, malgrado sia rimasto pressoché immutato il numero delle definizioni, è dovuto al maggior numero di sopravvenienze, alle scoperture, ed all’impegno connesso alla trattazione di molti procedimenti complessi».

I minori sottratti alla ‘ndrangheta

Di questi giorni, poi, la messa in onda della fiction “Liberi di scegliere” che ha riportato in primo piano la vicenda dei minori sottratti alla ‘ndrangheta grazie all’azione del Tribunale dei Minori. Ebbene, anche su questo tema, Gerardis spiega quale sia lo stato dell’arte: «L’esperienza acquisita in tanti giudizi ha rafforzato il convincimento del tribunale che per censurare i modelli educativi deteriori mafiosi nei casi in cui sia messo a repentaglio il corretto sviluppo psico-fisico dei minori sia necessario intervenire nella stessa maniera in cui si interviene nei confronti di genitori violenti, maltrattanti o che abbiano problemi di alcolismo o tossicodipendenza, e cioè con provvedimenti di decadenza/limitazione della responsabilità genitoriale e allontanamento dei minori dal nucleo familiare. Tale indirizzo sta determinando positivi risultati, poiché i minori hanno ripreso la loro frequenza scolastica, prima interrotta ed hanno svolto le attività socialmente utili a seguito i percorsi di educazione alla legalità organizzati dagli operatori dei servizi minorili. E ciò ha finito col dare anche un contributo alla disgregazione di modelli culturali e relazioni familiari apparentemente granitici ed intangibili. Non solo. Diverse madri si sono rivolte allo stesso tribunale per chiedere aiuto per i propri figli; altre, espiate pene detentive per gravi reati, hanno sollecitato un sostegno per cambiare vita e reperire una sistemazione logistica e lavorativa al seguito dei figli minori allontanati dal tribunale. Persino alcuni detenuti, sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41 bis O.P., hanno incoraggiato il tribunale a proseguire nell’attività intrapresa a tutela dei loro figli per sottrarli al degrado dell’ambiente di provenienza. Insomma, come è facile constatare, l’affermazione di legalità nei confronti della criminalità organizzata assorbe una cospicua parte delle risorse e dell’impegno degli uffici del distretto.