Nella memoria storica della regione non c’è solo il sisma del 1908. Sono molti altri gli eventi catastrofici che si sono susseguiti negli ultimi secoli. Alla fine del Settecento una serie di forti scosse prese il via da Oppido, nel Reggino, radendo al suolo centinaia di paesi e causando un’ecatombe (ASCOLTA L'AUDIO)
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Ogni volta che in qualunque parte del mondo la terra trema in maniera distruttiva, come accaduto in Turchia e Siria, trema anche l’animo dei calabresi. E non soltanto per un umano sentimento di solidarietà verso le popolazioni colpite, ma anche per la paura atavica verso un fenomeno che si è stratificato generazione dopo generazione nella memoria storica di un popolo che da sempre ha dovuto fare i conti con terremoti.
Anche chi fortunatamente non ha mai vissuto l’esperienza di un sisma assassino, se vive a queste latitudini, porta dentro di sé l’inconscia consapevolezza che in Calabria non c’è nulla di inedito quando si parla di terremoti, perché sono decine quelli distruttivi che si sono susseguiti negli ultimi mille anni, nella routine geologica di una regione che rappresenta la zona di contatto in cui la placca tettonica africana si infila sotto quella euroasiatica (subduzione) alla velocità di circa 7 millimetri l’anno. Questo comporta un progressivo accumulo di energia che periodicamente - ma senza una cadenza precisa e dunque non prevedibile - si libera generando un terremoto.
Insomma, la Calabria è continuamente «schiacciata dalla grande morsa costituita dalla placca africana (a sud) e da quella europea (a nord)», spiega la Protezione civile calabrese. Questa fragilità determina anche una perdita di compattezza del terreno, che lungo le linee di frattura (faglie) diventa più friabile e più esposta a movimenti franosi.
Il terremoto del 1908 che distrusse Reggio Calabria e Messina è senza dubbio l’evento maggiormente conosciuto, perché più vicino nel tempo. Ma è solo l’ultimo di una sequela di eventi disastrosi che hanno costellato la storia della Calabria negli ultimi secoli.
Basti pensare che secondo una stima accreditata dalla Protezione civile, negli ultimi 250 anni in Calabria terremoti e frane hanno causato circa 200mila morti. Andando più indietro nel tempo la stima delle vittime diventa più difficile, ma l’elenco dei sismi distruttivi fa comunque tremare le vene ai polsi.
24 maggio 1184 – Valle del Crati
Il 24 maggio 1184 un terremoto del IX grado della scala Mercalli colpì in modo distruttivo alcuni centri della valle del fiume Crati, nella Calabria settentrionale. A Cosenza e Bisignano le rispettive cattedrali crollarono e subirono danni gravissimi anche le abbazie della Sambucina e di Matina; crollarono anche le mura del borgo fortificato di San Lucido. Fu danneggiato inoltre il monastero benedettino di Santa Maria di Valle Josaphat.
27 e 28 marzo 1638 – Valle del Savuto, Piana di Sant’Eufemia, Serre occidentali
Il 1638 in Calabria è ricordato come un anno di grandi terremoti, perché si verificò la prima importante sequenza sismica conosciuta tra quelle che nel corso della storia hanno ripetutamente colpito la regione.
Il 27 marzo, la prima scossa con magnitudo di 6.8 alle ore 22 interessò soprattutto la zona dell'alto Crati, alle pendici della Sila, della Valle del Savuto e centri lungo la costa tirrenica poco a nord del golfo di Sant'Eufemia. Vennero distrutte fra l'altro Martirano, Rogliano, Santo Stefano di Rogliano, Grimaldi, Motta Santa Lucia, Marzi e Carpanzano. Furono distrutti più o meno completamente 17 centri abitati sulla costa tirrenica, come Amantea. Secondo la relazione ufficiale del consigliere Ettore Capecelatro, inviato nelle Calabrie viceré spagnolo, complessivamente furono distrutte oltre 10.000 abitazioni e altre 3.000 circa divennero inabitabili.
Il 28 marzo 1638, domenica delle Palme, due nuove scosse si verificarono più a sud, nella Calabria Ulteriore, con epicentro nei pressi di Nicastro, dove si registrarono circa 3.000 vittime, di cui 600 rimaste vittime del crollo della chiesa dei Francescani, affollata a causa delle celebrazioni delle Palme. Furono numerosissimi i morti anche a Sambiase, Castiglione Marittimo, Feroleto Antico e Sant'Eufemia, quest'ultima distrutto da un maremoto. In seguito alle scosse si aprirono fenditure dalle quali in qualche caso fuoriuscirono acqua o gas solforosi. Si formò così una vasta area paludosa di circa 180 km² fra l'Amato e l'Angitola che rese malarica la Piana di Sant'Eufemia per tre secoli, fino alla bonifica agraria del 1928.
Sempre il 28 marzo, una serie di scosse meno distruttive ma sempre molto forti si verificarono Serre occidentali. I danni più gravi furono patiti dai centri di Vibo, Rosarno, Mileto, mentre i centri di Borrello, Briatico, e Castelmonardo furono praticamente rasi al suolo. Sulla costa si verificò il maremoto che, secondo documenti dell’epoca, colpi in maniera particolarmente distruttiva Pizzo.
5 febbraio 1783 – Calabria meridionale
Il 5 febbraio del 1783 ebbe inizio in Calabria una delle sequenze sismiche più lunghe e disastrose della storia italiana. Una sequenza che durò più di tre anni, causando crolli, maremoti e un numero complessivo di morti che secondo alcune stime raggiunse quota 50mila. Fu la più grande catastrofe che colpì il Mezzogiorno nel XVIII secolo e oltre a causare danni immensi radendo al suolo le città di Reggio e Messina ebbe effetti duraturi sia anche livello politico, economico e sociale. La stima delle vittime è di 50mila persone.
Nei primi due mesi si verificarono cinque forti terremoti - il 5 febbraio, il 6 febbraio, il 7 febbraio, il 1° marzo e il 28 marzo 1783 - che devastarono la Calabria, tra Reggio Calabria e Catanzaro, e parte della Sicilia nord-orientale.
La prima scossa ebbe come epicentro Oppido Mamertina e durò 2 minuti, distruggendo completamente la città che allora si chiamava solo Oppido. Quasi 5.000 dei suoi abitanti persero la vita. L'Ingv ha stimato la magnitudo di questo primo, forte evento sismico, in 7.1. All'evento principale si attribuisce un'intensità pari all'undicesimo grado della scala Mercalli.
Fra il 5 ed il 7 febbraio furono contate ben 949 scosse alle quali seguì alle ore 20 del 7 febbraio una nuova scossa, di magnitudo 6.7 con epicentro nell'attuale comune di Soriano Calabro. Nel mese successivo, si susseguirono scosse di intensità sempre decrescente, ma le più forti furono quelle del 1º marzo 1783, di magnitudo 5.9 con epicentro nel territorio di Polia, e quella ancora più forte del 28 marzo, di magnitudo 7.0 con epicentro fra i comuni di Borgia e Girifalco.
Oltre 180 centri abitati in tutta la Calabria risultarono parzialmente o totalmente distrutti. Palmi fu tra i luoghi più colpiti e venne completamente rasa al suolo. In alcuni paesi costieri come Scilla, dove si verificò anche un distruttivo maremoto, il tasso di mortalità raggiunse il 70%. A Polistena, su una popolazione di circa 4.600 abitanti, i morti furono 2.261.
Drammatica la testimonianza del geologo francese Déodat de Dolomieu, che raggiunse la Calabria per studiare gli effetti del sisma. Raccontando di Polistena, ha scritto: «Avevo veduto Reggio, Nicotera, Tropea... ma quando di sopra un'eminenza vidi Polistena, quando contemplai i mucchi di pietra che non han più alcuna forma, né possono dare un'idea di ciò che era il luogo... provai un sentimento di terrore, di pietà, di ribrezzo, e per alcuni momenti le mie facoltà restarono sospese...».