Dalla vicenda dei pandori di Chiara Ferragni in poi, gli italiani mostrano una certa diffidenza nei confronti delle raccolte fondi pubbliche, anche quando queste servono - si spera - a salvare la vita a un bambino malato di tumore, a cui i medici hanno dato al massimo cinque mesi di vita. E così, nelle ultime ore, il web si è trasformato in una sorta di ring in cui gli sfidanti, da un lato i sostenitori e dell'altro i detrattori, si sfidano a colpi di insulti e pregiudizi su una vicenda che, invece, dovrebbe contornata soltanto da silenzio e preghiere. La vicenda è quella del piccolo Alfredo De Marco, nativo di Siderno, in provincia di Reggio Calabria, le cui speranze di diventare grande sono ridotte al lumicino.

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Ma per raccontare questa storia dobbiamo procedere con ordine. Qualche giorno fa, nelle principali testate giornalistiche calabresi arriva un comunicato stampa che ripercorre la storia del piccolo Alfredo e contiene riferimenti di una raccolta fondi. I

l comunicato, contiene, altresì, nome e cognome della madre del bimbo, Maria Raffaella Crudo, e la foto del figlio, da cui si evincono gli evidenti segni della malattia. Alfredo ha un epatoblastoma, un tumore al fegato con metastasi ai polmoni che è tornato più aggressivo di prima a causa della resistenza ai farmaci. Dopo l'ultima tomografia computerizzata, che ha evidenziato la progressione della malattia, i medici hanno alzato le braccia al cielo. Benché sia ancora ricoverato all'ospedale Bambin Gesù di Roma, per i sanitari non ci sarebbe più nulla da fare. La sua prospettiva di vita va dai 3 ai 5 mesi di vita. Ma nel frattempo, l'ospedale capitolino entra in contatto con due cliniche francesi, la Gustave Roussy a Villejuif di Parigi e l’Inserm Bordeaux di Bordeaux.

Qui, stando a quanto si legge nel comunicato, i medici avrebbero parlato di alcune cure sperimentali che forse, il condizionale purtroppo è d'obbligo, potrebbero aiutare il piccolo paziente a dargli, quanto meno, una prospettiva di vita più lunga. Ma i costi delle cure, per quel che ne sappiamo, sono a carico della famiglia e sono costosissime.

La raccolta fondi e i dubbi dei social

I genitori di Alfredo aprono una raccolta fondi pubblica sulla piattaforma dedicata "GoFundMe" con un obiettivo da un milione di euro. La cifra comprende anche i costi di vitto e alloggio per tutta la durata della possibile terapia, ma a un gran numero di internauti sembra spropositata: sarà mica una truffa?

Gli investigatori social vedono il primo indizio nella mancanza di un profilo Facebook della madre del bimbo. Nell'era dell'internet 4.0 funziona così: se non sei su social è altamente probabile che tu non esista. Invece Maria Raffaella Crudo esiste eccome e ha pure un suo profilo social in cui sono pubblicate foto e video del piccolo Alfredo.

A Siderno la sua famiglia la conoscono tutti. Lei è figlia di un carabiniere, lui, il papà del piccolo, è un poliziotto. Sono persone perbene e benvolute, sulle loro vite non c'è una sola ombra. I loro concittadini seguono la vicenda con angoscia e anche il Comune si sta occupando del caso. La sindaca Maria Teresa Fragomeni ha anche postato un annuncio sui propri canali social.

La versione di Selvaggia Lucarelli

I più dubbiosi, però, non ne tengono conto e si rivolgono all'influencer Selvaggia Lucarelli, la cui inchiesta sui pandori di Chiara Ferragni l'ha eletta regina incontrastata degli sgami antifrode e antitruffa di tutta la galassia di internet. Lucarelli, quindi, chiama la madre del bambino e chiede i famigerati "preventivi" che potrebbero giustificare l'esorbitante cifra da raccogliere. La signora Crudo risponde che il preventivo ancora non c'è e tanto basta ad avviare la gogna social: «Aprite gli occhi - scrive ai follower -, la vicenda di Chiara Ferragni non vi ha insegnato niente?». Avverte che le raccolte fondi vanno fatte unicamente tramite un ente, per trasparenza e chiarezza, tutte le altre non meritano attenzione. Pochi istanti dopo i suoi seguaci corrono sotto ogni post e articolo a diffondere il verbo: «Questa storia è una truffa, tirate fuori i preventivi».

In pochi istanti, una famiglia che sta vivendo la più grande tragedia umana si trova anche a dover fare i conti con il venticello della calunnia e l'accusa, nemmeno troppo velata, di approfittare del tumore di un bimbo di tre anni per fare cassa. Dolore che si aggiunge ad altro dolore.

La ricostruzione della vicenda

Così abbiamo provato a ricostruire la vicenda dall'inizio. Il 28 agosto scorso un esame diagnostico sbatte in faccia la realtà nuda e cruda ai genitori del piccolo: le terapie non hanno più effetto sul corpicino di Alfredo, la malattia si è ripresentata e le metastasi sono più estese di prima. Si può fare ben poco. Ma i genitori, straziati, chiedono ancora un'alternativa. La trovano nelle due cliniche francesi, che non danno garanzie di guarigione, ma di una piccola percentuale di efficacia delle cure, sperimentali e costosissime. Basta andare sul sito delle cliniche per scoprire che «in assenza di un'assicurazione sanitaria, i costi sono a carico del paziente». Se ne chiede conto in uno scambio di mail e, a dirla tutta, la somma richiesta è un prezzo di favore, considerata la gravità della situazione. Non c'è un preventivo vero e proprio perché la situazione è in corso di valutazione, come anche la possibilità concreta di trasferire il piccolo. Non esiste nessuna garanzia di guarigione.

Ma a una madre e a un padre non puoi chiedere di arrendersi davanti a un figlio consumato dalla malattia, e la donna, in preda alla disperazione, lancia la raccolta fondi da un milione di euro prima ancora di avere un preventivo, che comunque dovrebbe arrivare a giorni. Lo fa esclusivamente per accelerare i tempi. Esistono altre modalità che potrebbero dare accesso alle cure in modo gratuito? Non lo sappiamo con certezza, ma sappiamo che in questo momento non c'è tempo per la burocrazia. La malattia è a uno stadio molto, molto avanzato e la raccolta pubblica dei fondi è sembrata la strada più corta.

C'è da dire che, in caso del mancato raggiungimento della cifra, le singole donazioni saranno restituite ai mittenti. C'è anche la possibilità che, purtroppo, la cifra non venga mai prelevata o trasferita su altri conti correnti. Il perché lo lasciamo all'intuizione dei lettori. Anche in quel caso, la piattaforma GoFundMe restituirebbe ogni singolo euro.

I ringraziamenti della famiglia

Per fortuna, sul web c'è anche tanta umanità. Nel momento in cui scriviamo, la raccolta fondi ha superato i 780mila euro, cifra raccolta in appena tre giorni. «Ringraziamo tutti per quello che stanno facendo, siamo commossi - è il commento della nonna del bimbo -, non ci aspettavamo tanto affetto da parte della gente». Poi conferma che la situazione del nipotino è grave, ma di non aver perso la speranza: «Sono una cattolica praticante - dice la donna -, confido in Dio e spero in un miracolo».