Non per tutti la fase 2 equivale a maggiore libertà, così come dimostra la quotidianità – ancora vissuta tra ansie e restrizioni – delle famiglie con minori disabili per i quali la riaperture dei centri riabilitativi in molti casi è ancora una speranza. Eppure, il decreto della riapertura impone alle Regioni di dotarsi di Piani specifici per le persone con ritardi cognitivi «ma – spiega Vito Crea presidente dell’Adda, una delle associazioni dei familiari – ancora non si è visto, mentre paghiamo la beffa di una giunta regionale che ha riaperto i parchi per tutti nello stesso giorno in cui ha riaperto i bar, quando noi chiedevamo, sul modello di altre regioni, di consentire la fruizione di queste aree già nella prima fase».

 

Dell’Adda fanno parte Rocco e Sabina Furuli di Cinquefrondi, genitori di Nicol, una bambina di 10 anni affetta da ritardo mentale grave. «Siamo stati chiusi in casa 53 giorni – dice la mamma – e in questo periodo la bimba ha subito dei regressi con continui pianti, reazioni aggressive, perdita del sonno. Da qualche giorno possiamo uscire, ma anche è difficile tornare alla normalità di prima».

La scuola a distanza che pure Nicol segue l’aiuta ben poco, perché questa novità è difficilmente compatibile con lo stato di una psiche provata da patologie pregresse.

«Siamo stati soli in questo periodo – racconta Rocco – solo tra familiari ci siamo aiutati, scambiando esperienze quotidiane tra una famiglia e l’altra, chiedendo consigli sui fatti inediti che sono capitati ai nostri figli». Da un lato il dolore, dall’altra la nuova costrizione per la troppa lentezza delle istituzioni.

 

«I nostri figli – conclude Crea – non possono ritornare nei centri riabilitativi, aperti a macchia di leopardo in tutta la regione, e non hanno assistenza domiciliare così come dovrebbero avere quando la Regione elaborerà quel Piano che il governo ha chiesto. La pandemia è finita col dimostrare una volta di più quanto sole possono sentirsi le famiglie».